Lungi da me infilarmi nel rebus-tormentone sulla partita del Quirinale. Ciascun partito, ciascuna corrente di partito, ciascun opinionista sciorina la propria ricetta. A volte con sincerità, a volte coltivando retropensieri, spesso dissimulando preferenze e auspici. Ma un po’ tutti facendo a gara nell’ostentare la cura per l’interesse generale del Paese. Chi invocando il bis di Sergio Mattarella associato alla permanenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi, chi tifando per l’ascesa di questi al Colle con un suo fiduciario alla guida del governo, chi auspicando che, eletto Draghi, si possa andare al voto.
Soluzioni diverse, come si nota, mosse da un mix di calcolo di convenienza e di sollecitudine per le sorti del Paese. Tutte soluzioni dotate di un qualche grado di plausibilità. Ma c’è un’altra ipotesi che, incredibilmente, è accreditata per davvero e che taluni hanno l’ardire di sostenere pubblicamente. Magari, lo si spera, mentendo: quella di Silvio Berlusconi al Quirinale.
Sulle prime ne abbiamo sorriso giudicandola una ipotesi surreale e, personalmente, mi ostino a considerarla così. Ma la sola circostanza che vi sia chi la prospetti e addirittura la sostenga, anche solo tatticamente, ha appunto dell’incredibile. Questa è la notizia che merita un commento. Sulle infinite ragioni che manifestamente configurano la cosa come una via di mezzo tra la barzelletta e la bestemmia – ragioni morali, politiche, giudiziarie – ne domina una che tutte le riassume: nessuno più dell’ex Cavaliere è stato ed è uomo di divisione. Con che ardire i leader politici possono anche solo prospettarlo senza arrossire, considerando da un lato la oggettiva, insuperata situazione emergenziale (sanitaria ed economica) e, dall’altro, la figura del presidente quale rappresentante dell’unità della nazione, nonché supremo garante della Costituzione? Quella da lui bollata come sovietica, quella che lo designerebbe presidente del Csm e dunque custode dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura.
Che lui ci creda non sorprende, al punto da spacciarsi per ambientalista e fan del Reddito di cittadinanza, più che concavo e convesso. Del resto, qualche giornale si è applicato a fare di conto su come (e a che prezzo) si possano convincere 50 e più “grandi elettori” sul mercato, adottando il metodo De Gregorio.
Ciò che sorprende, ripeto, è che, tra chi sarà chiamato a eleggere il futuro capo dello Stato, vi sia chi non avverta l’enormità della cosa. Basterebbe questo per trarne quattro conclusioni.
Primo: la sconcertante smemoratezza (e il deficit di reattività di senso etico-civile) di un Paese che, stando ai sondaggi, potrebbe dare la maggioranza a uno schieramento, quello capeggiato da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che, anche solo tatticamente, si dichiara disponibile a proporre l’improponibile ai vertici dello Stato.
Secondo: l’ipocrisia e l’irresponsabilità di chi così clamorosamente si contraddice a fronte della ostentata consapevolezza dell’unità richiesta da un tornante critico della nostra storia.
Terzo: l’affronto allo spirito e alla lettera della Costituzione, della quale la terzietà e l’equilibrio del presidente della Repubblica sono un caposaldo.
Quarto: se qualcuno nutrisse dubbi al riguardo, basterebbe questa circostanza, ossia che lui ci creda e ci punti, a smentire la rappresentazione di Berlusconi come statista affidabile, moderato, liberale, garantista. L’opposto del Caimano che fu. Se così fosse, lui per primo dovrebbe comprendere di essere, di tutti, il più controindicato. Il più unfit per il Quirinale.