Chissà se il signor Ugo (nome di fantasia) e lo State of Wisconsin Investment Board, entrambi azionisti della Juventus, un giorno si sono chiesti: come mai il club ha comprato Cristian Romero dal Genoa per 26 milioni e l’ha lasciato in prestito prima al Genoa e poi all’Atalanta? E come mai l’Atalanta l’ha riscattato per 16 milioni (da pagare alla Juve, per di più, in tre comode rate) e l’ha ceduto 24 ore dopo al Tottenham per circa 55 milioni guadagnandoci ben 39 milioni? E come mai Genoa e Atalanta sono i principali creditori della società bianconera? E come mai l’operazione Romero iniziata con Fabio Paratici direttore generale della Juve termina con Paratici dg del Tottenham? Qualcuno dirà: è il calcio, bellezza. Qualcun altro: è il mercato. Diciamola tutta: è il calciomercato e, se aggiungiamo che siamo nel regno de “la palla è rotonda”, diventa facile chiudere la questione con i tarallucci e con il vino. Sarà. Ma fino a un certo punto. Perché i risparmi del signor Ugo (e di tutti gli azionisti) sono tutelati dall’articolo 47 della Costituzione e la Consob deve occuparsi anche di una società di calcio quotata. Inoltre la cessione di Romero (e non solo) è nel mirino della procura di Torino e della Guardia di Finanza che indagano sulla Juve per falso in bilancio. E quindi, per una volta, i tarallucci e il vino mettiamoli da parte.
Per quanto tifoso e appassionato, un azionista resta un azionista e il 24,3% del capitale di Juventus Football Club spa è in circolazione sul mercato azionario. Nessun azionista può conoscere nel dettaglio le operazioni del titolo su cui ha investito. Ma una società di calcio ha una peculiarità in più: il 30% dei ricavi della Juve, nell’esercizio 2019/2020, è costituito dalla voce “proventi da gestione diritti dei calciatori”. Tradotto: dal “calciomercato” (e dalle relative plusvalenze). La percentuale – oggi scesa al 9% – nel 2018/2019 ammontava al 25,3% e nel bilancio precedente al 20,3. In altre parole: un quarto dei ricavi è dipeso dal calcio mercato e dalle plusvalenze (ho ceduto il calciatore a una cifra superiore a quella di acquisto). Ora: chi può stabilire qual è il prezzo corretto, nell’acquisto di un calciatore, se non il mercato e l’accordo tra le parti? Siamo nell’alea assoluta. Ma queste operazioni rappresentano una componente essenziale del bilancio e, quindi, dell’investimento fatto dall’azionista. Non tutte le società quotate sono uguali. Il Manchester United negli ultimi 10 anni ha realizzato plusvalenze per 122 milioni. La Juve 166 nel solo esercizio 2019/2020. Quindi il signor Ugo dovrebbe esultare. E con lui anche l’azionista Alaska Permanent Fund Corporation. Ma se volessero addentrarsi nelle operazioni, se provassero a trovare una logica esclusivamente economica, ne ricaverebbero una labirintite. Scoprirebbero che, per le campagne trasferimenti, il maggiore creditore della Juve è proprio il Genoa: gli deve 31,1 milioni. E dall’ultimo bilancio scoprirebbero che proprio al Grifone la Juve ha venduto Manolo Portanova (10 milioni) ed Elio Petrelli (8 milioni) realizzando una plusvalenza da ben 18 milioni. Ottimo: sono entrati 18 milioni in cassa, penseranno Ugo e l’azionista City of New York Trust, prima di passare alla voce “acquisti” e notare che quei 18 milioni sono in qualche modo ritornati nelle casse del Genoa che, per la stessa cifra, ha venduto alla Juve Nicolò Rovella. Vabbè, si diranno: pari e patta. Ma se andassero a controllare un po’ meglio, tra le righe del calcio mercato, scoprirebbero anche che Rovella era in scadenza di contratto: aspettando soli 4 mesi la Juve avrebbe potuto acquistarlo a molto meno. Uno pensa: forse la Juve aveva necessità di Rovella. Poi cerca la sua presenza in bianconero e non lo trova: dal Genoa, Rovella, non se n’è mai andato, perché è rimasto lì in prestito. A ’sto punto uno dice, vabbè sarà stato un affare comunque, fammi vedere quanto valgono oggi ’sti tre calciatori? Clicca sul sito transfermarkt.it e scopre che Rovella (acquistato a 18 milioni) ne vale 6, Portanova (venduto a 10) ne vale 1 e Petrella (ceduto a 8) ne vale 250mila. Presa la calcolatrice, l’azionista scoprirebbe che la Juve ha acquistato per 18 milioni un calciatore che oggi ne vale 6. E che al Genoa ne ha venduti due, sempre per 18 milioni, che in totale oggi valgono 1 milione e 250mila euro. E che tutto questo fa bene al bilancio. A gennaio la Juve vende al Genoa –che è creditore della Juve per circa 31 milioni e debitore dei bia nconeri per 26,3 –Stefano Sturaro per 18 milioni (plusvalenza da 13,6) con un pagamento in 4 anni (quindi 4 milioni l’anno). Un mese dopo il Genoa vende alla Juve Luca Zanimacchia per 4 milioni. Ora, deve essere una coincidenza, ma la somma coincide la quota tonda tonda di una rata. Quanto vale oggi Sturaro (che poi ha avuto, purtroppo per lui, degli infortuni)? Per transfermarkt.it 4,5 milioni. E Zanimacchia? 400mila euro. Poiché non è il Fantacalcio la Procura di Torino sta indagando e solo al termine delle indagini, e di un eventuale processo, si stabilirà se configurano un falso in bilancio per la Juve o no.
Ma è interessante scoprire che nell’operazione Romero (acquistato dal Genoa) chi fa il vero affare è l’Atalanta (lo acquista dalla Juve per 16 milioni e lo rivende all’istante per 55 al Tottenham) che, nel bilancio 2019/2020, è in cima alla speciale classifica dei creditori bianconeri con 33,8 milioni. E fin quando si tratta di operazioni come Romero o Cristiano Ronaldo, per informarsi, basta leggere un quotidiano sportivo. Ma (con rispetto parlando) come fa l’azionista Shell Canada 2007 Pension Plan 400 quando si parla di Kevin Monzialo ceduto dalla Juve al Lugano per 2,5 milioni (oggi ne vale 200mila) con una plusvalenza in bilancio di 2,3 milioni, e si scopre che, nello stesso giorno, e per la stessa cifra, dal Lugano arriva Cristopher Lungoyi (oggi ne vale 600mila)? Operazioni come queste hanno costituito, negli ultimi 4 anni, fino al 30% dei ricavi bianconeri. Ora, cedere o acquistare un brocco, pensando che sia il nuovo Maradona, di per sé non è reato ed è quasi impossibile scoprirlo solo leggendo un bilancio. Ma la pena prevista per l’eventuale falso in bilancio, se la società è quotata in Borsa, diventa più alta e consente di intercettare gli indagati. Ed è questo il punto chiave dell’inchiesta: a quanto pare i dirigenti juventini, al telefono, del via vai di acquisti e cessioni hanno parlato parecchio.