Questo è il momento di dare non di prendere, aveva detto Mario Draghi qualche tempo fa. Col passare dei mesi si è capito che in realtà non pare nemmeno il momento di redistribuire. La vicenda del taglio delle tasse è lì a dimostrarcelo.
Breve riepilogo. La vasta maggioranza che sostiene Draghi si è accordata per indirizzare gli 8 miliardi della manovra verso i redditi che nella vulgata pubblica vengono definiti “del ceto medio”, ma in realtà sono medio-alti. E infatti i sindacati si sono arrabbiati. Per evitare un improbabile sciopero generale a Draghi è bastato offrire un mini taglio dei contributi sotto i 35mila euro per il solo 2022. C’è un problema: il governo cercava soldi anche per calmierare la stangata sulle bollette prevista a gennaio. Draghi voleva trovarli rinviando il taglio per i redditi oltre i 75mila euro. Apriti cielo. Il centrodestra ha fatto muro ed è morta lì. “Non andrebbe nella direzione che lo stesso premier Draghi ha più volte ribadito e in cui ci riconosciamo pienamente: non è il momento di prendere i soldi ai cittadini, ma di darli”, ha esultato perfidamente Italia Viva. La linea della destra è che “se guadagni 75mila euro l’anno, 4mila netti al mese, non sei ricco”, per usare le parole dell’ex manager Enel Chicco Testa.
Il quadro è desolante per due motivi. Il primo è che nemmeno un congelamento di un taglio delle tasse a chi sta meglio è accettabile per buona parte del nostro arco parlamentare, che si trincera dietro gli slogan del premier. Il secondo è che questa classe politica non conosce la società in cui vive. Il taglio delle tasse premia, in proporzione, redditi che oggi sono medio-alti (dai 28 ai 55mila euro l’anno), non il ceto medio. Oggi con 4mila euro netti al mese sei nel 5% più elevato dei contribuenti. Con un reddito di 35mila euro sei nel top 10%. C’entra l’evasione fiscale, certo, ma c’entra anche un Paese in cui i salari sono fermi e un quarto dei lavoratori è povero.
Questi numeri Draghi li conosce, eppure stranamente stavolta non ha “tirato dritto”, come ama ricordare spesso la grande stampa. Evidentemente non è nemmeno il momento di far pagare di più (o premiare di meno) chi ha sofferto meno la pandemia.