Quando, nel febbraio scorso, Mario Draghi entrò a Palazzo Chigi aveva un timore tra i tanti: che il Paese già prostrato dalla pandemia si sfasciasse sotto i colpi di una crisi economica devastante. Il “buon rapporto” con Maurizio Landini di cui parlano i giornali furono in realtà i colloqui riservati tra il premier e il segretario della Cgil. Tema: come garantire un minimo di coesione sociale, altrimenti qui viene giù tutto. E quindi, ognuno faccia la sua parte e manteniamo un filo diretto e riservato tra di noi.
Quando ci fu l’assalto fascista alla Cgil, Draghi che abbraccia Landini nella sede devastata del sindacato resta l’immagine icastica dello stretto rapporto tra i due: personale oltre che politico. In quelle ore fu Palazzo Chigi a sollecitare la più ampia solidarietà nei confronti della Confederazione rossa (Giorgia Meloni compresa). Quando Landini definisce inaccettabile che ai lavoratori e ai pensionati che versano oltre il 90% dell’Irpef la riforma fiscale contenuta nella legge di Bilancio tagli solo le briciole, pone un sacrosanto problema di equità. Inevitabile per chi ha la rappresentanza di milioni di persone. E in forza di ciò costretto, se inascoltato, all’annuncio dello sciopero generale.
Quando, sempre i giornali, scrivono che Draghi davanti alla protesta del 16 dicembre si è “innervosito”, quasi fosse stato colto di sorpresa, sbagliano espressione poiché Draghi sapeva che da Corso d’Italia sarebbe arrivato al governo un brusco segnale (e forse ne aveva calcolato costi e benefici). Infatti, quando Landini sostiene che sono i partiti ad aver bloccato la proposta del presidente del Consiglio di escludere per un anno dal beneficio fiscale i redditi oltre i 75mila euro, difende certamente Draghi. Ma, nello stesso tempo, gli chiede di non essere succube della destra salviniana e berlusconiana. Per questo, quando Landini dichiara di essere “disponibile a un dialogo prima di scendere in piazza ma servono cambiamenti”, lascia aperto più di uno spiraglio.
A patto che, in Parlamento, alla legge di Bilancio vengano apportate le migliorie richieste in direzione equità. E che, dunque, Cgil e Uil possano annunciare un successo della linea della fermezza. Anche perché (chissà pensa Landini) se Draghi è un amico consentirà a Cgil e Uil (con la Cisl alla finestra) di fermarsi in tempo prima che uno sciopero dagli esiti imprevedibili produca danni vistosi al Paese e al sindacato tutto. Anche questa si chiama coesione sociale.