L'attivista rischia una pesantissima condanna per aver contribuito a diffondere documenti riservati su crimini di guerra commessi dalla forze americane in Iraq e Afghanistan. Intervista al cofondatore dei Pink Floyd, che fin dal 2010 ha integrato alcune delle rivelazioni esplosive di WikiLeaks nel suo tour musicale 'The Wall'
È una stella che non smette di brillare. A 78 anni, il leggendario cofondatore dei Pink Floyd, Roger Waters, ha ancora nelle vene la passione politica, l’energia e il carisma per lottare per un mondo migliore, sostenendo cause che non gli attirano di certo le simpatie dei potenti. Come quella per liberare Julian Assange, di cui Waters è un sostenitore della prima ora.
In una conversazione, che il Fatto Quotidiano propone in collaborazione con Progressive International, l’organizzazione internazionale che punta a mobilitare forze e movimenti progressisti di tutto il mondo (https://progressive.international/about/en), Waters racconta come fin dal 2010 abbia integrato alcune delle rivelazioni esplosive di WikiLeaks nel suo tour musicale ‘The Wall’. Come ad esempio il video Collateral Murder, in cui si vede un elicottero americano Apache sparare su civili inermi a Baghdad, mentre l’equipaggio ride.
È a causa della pubblicazione di questo tipo di documenti segreti del governo americano che il fondatore di WikiLeaks non ha più conosciuto la libertà dal 2010, quando iniziò a diffonderli in collaborazione con decine di media e giornalisti di tutto il mondo.
Oggi il fondatore di WikiLeaks rimane rinchiuso nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, a Londra, in attesa che la giustizia britannica decida se verrà estradato negli Stati Uniti, dove rischia 175 anni di prigione nel carcere più estremo: l’ADX Florence, in Colorado, dove si trovano criminali del calibro de El Chapo. Le sue condizioni fisiche e mentali sono così serie che in primo grado il giudice inglese Vanessa Baraitser ha negato l’estradizione per il rischio che, una volta trasferito nelle prigioni americane, Julian Assange commetta un suicidio. Proprio la settimana scorsa nella capitale inglese si è tenuto il processo di appello, ma la sentenza richiederà settimane.
Waters racconta che, a partire dal 2010 e per almeno tre anni, ha proiettato nei suoi show del tour The Wall le immagini di Collateral Murder. “Commettevo lo stesso crimine di Julian Assange, che non è affatto un crimine: come lui, pubblicavo quel documento [segreto, ndr]”, ci dice, aggiungendo: “quello che Julian ha fatto non è un crimine, e quello che io ho fatto non lo è, eppure lui è rinchiuso da allora”.
Le autorità americane l’hanno mai contattata per chiederle di rimuovere il video?, gli chiediamo. “Non ho ricevuto molte cartoline”, ironizza Waters, “Naturalmente [le autorità americane, ndr] non hanno mai contattato il Washington Post o il New York Times o qualsiasi altro giornale che avesse pubblicato quei documenti. Hanno riservato il loro trattamento brutale per Julian. E giustamente, perché è lui il nostro glorioso leader di questa rivoluzione”, argomenta con slancio Roger Waters, sottolineando quanto l’informazione libera sia l’essenza della democrazia.
Poi si addentra nella macchina della propaganda che sostiene l’imperialismo americano e le sue guerre perpetue dall’Afghanistan all’Iraq, al centro delle rivelazioni di WikiLeaks per cui Assange rischia la prigione a vita. “La propaganda è lo strumento più efficace per scatenare le guerre. E questo è vero da sempre. Vivo negli Stati Uniti, dove un’enorme percentuale di persone è sopraffatta. La propaganda è enormemente efficace e potente”, ci dice, “Ora stanno convincendo la gente che la Cina è una minaccia”.
Perché non vediamo milioni di persone ribellarsi?, chiediamo a Waters, accennando alla mostruosa ingiustizia del trattamento di Assange. “Perché sono morti che camminano. Le persone in linea di massima attraversano le loro vite in uno stato di incoscienza. Se sono ricche abbastanza da possedere un iPhone, se ne stanno su Instagram”, ragiona, “e camminano nella nebbia della propaganda e delle cose senza senso. Non pensano mai a nulla e non dicono mai: ‘fermi un attimo, questo è completamente sbagliato. Come è possibile che succeda?'”.
Ogni tanto, però, qualche passo in avanti si registra. Ormai c’è un fronte ampio costituito da organizzazioni, cittadini, giornalisti, politici, che denunciano il trattamento di Julian Assange. “Sì, ci sono sviluppi positivi”, riconosce Roger Waters, portando l’esempio di un altra delle sue battaglie politiche: quella a favore del popolo palestinese. “Dieci anni fa, non era possibile usare la parola ‘apartheid’ in relazione a Israele, oggi non c’è conversazione su Israele in cui non si menzioni quella parola. Quindi sì, le cose cambiano, ma è cambiato qualcosa sul campo? No, siamo ancora a una realtà fatta di coloni brutali, di apartheid oppressivo, un regime razzista, occupazione di quelle terre”, argomenta. E così accade nel caso Julian Assange: il fronte delle persone che lo supportano si allarga giorno dopo giorno, ma le sue condizioni non cambiano, perché rimane in prigione. “Viene ucciso proprio davanti ai nostri occhi da un governo follemente corrotto, molto pericoloso e monolitico, gli Stati Uniti, perché [gli Stati Uniti vogliono, ndr] mantenere la segretezza, in modo che noi non sappiamo cosa fanno”, ci dice.
Nell’esprimere il suo apprezzamento per il lavoro svolto dal Relatore speciale Onu contro la tortura, Nils Melzer, che da oltre due anni denuncia la tortura psicologica usata contro Julian Assange, e ne chiede la liberazione, il leggendario confondatore dei Pink Floyd conclude che l’unica cosa da fare è scendere in piazza e gridare sempre più forte. “E’ questa la mia fonte di ottimismo: riconosco che esiste la possibilità di organizzarci tra noi in un modo civile”.