Col voto degli iscritti che ha approvato, alla media del 90%, la squadra di Conte, si chiude la (troppo) lunga transizione fra vecchio e nuovo M5S, iniziata il 28 febbraio all’hotel Forum con la proposta di Grillo e degli altri big all’ex premier di rifondare i 5Stelle, interrotta il 24 giugno dalla retromarcia del fondatore, ripresa l’11 luglio con l’accordo Beppe-Giuseppe sul nuovo statuto, plebiscitata il 6 agosto dagl’iscritti col 93% al nuovo presidente, battezzata a settembre dai bagni di folla, funestata il 3-4 ottobre dal pessimo risultato alle Comunali e ora completata con l’organigramma. La nuova squadra dovrà mettersi al lavoro ventre a terra per organizzare e radicare un movimento perlopiù virtuale. E ci riuscirà se smetterà di parlare di regole e polemiche interne, inevitabili nella fase di passaggio, ma alla lunga insopportabili. Quando una forza politica passa più tempo a guardarsi l’ombelico e a parlare di sé, la gente scappa. Il voto bulgaro di ieri, come quello – molto meno scontato – sul 2 per mille, dovrebbe insegnare agli eterni mugugnisti che non c’è spazio per contestare o insidiare questa leadership: la base si fida di Conte, approva a prescindere le sue scelte e non considera alternative. Si mettano il cuore in pace e lavorino con lui, dicendogli in faccia quel che non va ed evitando complottini e congiurette da asilo Mariuccia.
Ma il calo di partecipazione (solo il 20%) al voto di ieri è un monito anche per Conte. Ognuno ha i suoi modi e lui – come ha detto Grillo, una volta tanto non a sproposito – è “un gentleman più adatto ai penultimatum che agli ultimatum”. Non riuscirebbe a parlar male di Belzebù, anzi ci troverebbe qualcosa di buono: dunque nessuno pretende che definisca B. psiconano o puttaniere. Ma dire che “ha fatto molte cose buone” (per poi indicarne una sola) o tributare “rispetto al netto del conflitto d’interessi” a un pregiudicato che la Cassazione indica come frodatore fiscale e finanziatore della mafia è molto meno del minimo sindacale, specie per il leader 5S. In politica, dopo le buone prove da premier, Conte non ha nulla da imparare da Grillo (che deve farsi perdonare la resa senza condizioni a Draghi). Ma in comunicazione sì: non per passare al turpiloquio, ma per dare più concretezza e nettezza al suo linguaggio. A volte parla chiaro: specie quando lo attaccano e nelle emergenze (con Salvini in Senato, con Merkel e Rutte sul Recovery, poi sul Covid, sui Benetton, sulla Cartabia, sugli assalti al Rdc, al cashback e al superbonus). Altre si perde in fumisterie avvocatesi, come sul fisco per ricchi e lo sciopero. Basta guardarsi intorno: milioni di elettori esclusi da tutto attendono scelte e parole chiare per decidere se tornare a votare. E per chi.