Sapere operaio e ricerca militante. Questi sono gli ingredienti del piano per la reindustrializzazione della Gkn di Campi Bisenzio. Un piano che i lavoratori della fabbrica stanno elaborando insieme a un gruppo di studiosi del mondo universitario.
È un caso unico nella recente storia italiana. Dagli economisti del Sant’Anna di Pisa agli ingegneri di Siena e Firenze, dai giuristi solidali ai dottorandi, il mondo dell’accademia si è mosso per sostenere la lotta degli operai. “Il gruppo di ricerca, segnatamente militante, si è incontrato con il sapere dei lavoratori Gkn in modo orizzontale. Ciò ha permesso di valorizzare le competenze operaie costruite negli anni”, spiega al Fatto Francesca Gabbriellini, dottoranda in Storia a Bologna che fa parte della rete.
L’ambizione è che il piano, a oggi specifico alla vertenza Gkn, possa diventare un modello per altre aziende in crisi. Un modello per una nuova politica industriale, che cammini su due gambe: da una parte le energie e i saperi dal basso, dall’altra la necessaria responsabilità dello Stato.
Il punto fermo è garantire lavoro e redditi. Come si legge in una bozza che il Fatto ha visionato, “nessun ammortizzatore sociale verrà accettato a meno che non sia vincolato alla riorganizzazione aziendale volta all’attuazione del piano, alla salvaguardia dei posti di lavoro e alla tutela del patrimonio di relazioni industriali e sindacali finora conquistato”.
Per scongiurare nuovi squarci sulla pelle della comunità e del tessuto produttivo, si esplorano varie opzioni. Una proposta avanzata nel piano è il Polo pubblico per la mobilità sostenibile (Ppms): una misura che risponderebbe alla profonda crisi del settore automobilistico e si muoverebbe nei binari della transizione ecologica. Ma si parla anche della riconversione di alcune produzioni.
Come spiega al Fatto Dario Salvetti del Collettivo di Fabbrica, il piano dei lavoratori “parte da una constatazione banale: da una parte Stellantis e i fornitori stanno ridimensionando le loro attività in Italia, dall’altra si parla di rilancio dell’automotive nazionale in chiave sostenibile. Le due cose non sono coerenti”.
È qui che entra in gioco lo Stato. “O si avallano queste decisioni – dice Salvetti – o si impone all’azienda un comportamento diverso (ad esempio con una legge anti-delocalizzazioni), oppure si opta per una politica industriale a forte intervento pubblico. La nostra proposta ruota attorno ad alcuni punti ingegneristici fondamentali, come brevetti pubblici e mobilità sostenibile. Stiamo poi studiando meglio alcune tecnologie interessanti come l’idrogeno verde”.
Ma cosa produce oggi Gkn? Principalmente semiassi e macchinari, come le celle automatiche sviluppate in-house. I semiassi sono un prodotto poco complesso dal punto di vista tecnologico ed esposto a una forte competizione internazionale, mentre i macchinari offrono maggiori opportunità produttive, tecnologiche e di riconversione.
Con questi vincoli e possibilità deve fare i conti la reindustrializzazione. Ma lo Stato è ancora troppo timido. Giovanni Dosi, ordinario al Sant’Anna di Pisa, lo dice chiaramente: “Stiamo sopperendo a un ruolo che dovrebbe essere delle autorità pubbliche, in particolare del Mise. Ogni giorno sperimentiamo l’assenza di competenza tecnica del settore pubblico. Dagli anni Ottanta in poi sono scomparse in particolare la competenza ingegneristica e la capacità di valutazione di chi può fare cosa”.
Per sopperire a queste mancanze dello Stato, diventa cruciale realizzare nuovi poli di conoscenza pubblica, per valorizzare i saperi degli operai e rinnovare le competenze della pubblica amministrazione. La chiusura di Gkn, gli altri processi di delocalizzazione, e in generale i licenziamenti di massa non sono solo una questione monetaria o di posti di lavoro. Sono anche una perdita netta di competenze economiche: le risorse reali più difficili da generare.
Il sito di Gkn non può diventare un eco-mostro, e neanche l’ennesima ferita di un Paese deindustrializzato. Per l’inedita squadra di operai e accademici, la fabbrica deve essere l’avamposto di una nuova politica industriale. Ma quelli che dovrebbero esserne alcuni dei protagonisti fondamentali (lo Stato e il capitalismo italiano) sono ancora miopi.