L’integrale della sentenza Lucano
“Un mondo privo di idealità, soggiogato da calcoli politici, dalla sete di potere e da una diffusa avidità”. È uno dei passaggi più pesanti della sentenza depositata ieri dal Tribunale di Locri, che a fine settembre aveva condannato l’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, a 13 anni e 2 mesi di carcere. Hanno retto, in sostanza, 18 capi di imputazione su 26. Il padre del “modello Riace” è stato ritenuto colpevole per tutti i reati che riguardano la gestione del denaro pubblico: 9 truffe, 4 peculati, 3 falsi e 2 abusi d’ufficio. Accuse appesantite poi da un’associazione a delinquere che aveva lo scopo di commettere “un numero indeterminato di delitti contro la Pubblica amministrazione”.
Per il presidente del Tribunale, Fulvio Accurso, infatti, c’era un “sistema che ruotava attorno all’illegale approvvigionamento di risorse pubbliche”. Al centro di tutto Lucano, dominus dell’associazione Città Futura: “Un’organizzazione – si legge – tutt’altro che rudimentale, che rispettava regole ben precise cui tutti puntualmente si assoggettavano”. Nelle 904 pagine della sentenza si legge di “una regia comune” che ha animato i componenti dell’associazione condannati con l’ex sindaco per la gestione dei progetti sui migranti: “Hanno agito accettando di sostenere politicamente Lucano – scrive il giudice – ricevendo da esso, in cambio, piena libertà di movimento nella loro azione illecita di accaparramento delle risorse pubbliche”.
Se da una parte, il progetto inclusivo dei migranti è stato definito “encomiabile, invidiato e preso ad esempio da tutto il mondo”, dall’altra dopo averlo realizzato, Lucano, “essendosi reso conto che gli importi che venivano elargiti dallo Stato erano più che sufficienti allo scopo, piuttosto che restituire ciò che veniva versato, aveva ben pensato di reinvestire in forma privata la gran parte di quelle risorse, con creazione di progetti di rivalutazione del territorio, che oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica, si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti”. Si tratta di un frantoio e alcune case destinate ad alberghi “che costituivano una forma sicura di suo arricchimento personale”. In altre parole, per il Tribunale, Lucano ha “operato con costanza nell’illecito, in modo studiato, consapevole e volontario”. Ed è “un falso mito” che “non si sarebbe intascato nulla”. Emerge un “quadro a tinte fosche” con “forme di vero e proprio arrembaggio ai cospicui finanziamenti”. Per Accurso, infatti, “non vi è alcuna traccia dei fantomatici ‘reati di umanità’”. Anzi, “il processo ha un diverso orizzonte” e “si fonda su numerose vicende appropriative di denaro pubblico”.
D’altro canto, per il Tribunale, Lucano “non ha spiegato nulla della falsificazione dei rendiconti di cui, assieme ad altri, si è reso indiscusso protagonista”. E non avrebbe detto nulla nemmeno sul perché “l’associazione Città Futura riceveva ogni mese un cospicuo bonifico (7-800 euro, ndr) dalle isole Cayman (noto paradiso fiscale), rimasto privo di ogni giustificazione. Nessuna spiegazione convincente circa le ragioni per le quali aveva tollerato che i suoi più stretti collaboratori avessero posto in essere numerosi reati”.
Degli stessi, però, “era a piena conoscenza” Lucano, colpevole di “comportamento omissivo”. Perché? Secondo il tribunale “per bieco calcolo politico, dal momento che ciascuno di loro era portatore di un cospicuo pacchetto di voti, a cui lui non aveva inteso rinunciare”.