Il fallimento della COP26 di Glasgow è l’ennesima riprova che il modello di sviluppo e di pensiero cui ci siamo affidati fino ad oggi non è in grado di risolvere i problemi strutturali che attanagliano le nostre società. Fra crescita delle diseguaglianze, politiche securitarie, crisi economica, pandemia ed emergenza climatica, mai come oggi il nostro sistema sociale è stato sull’orlo del collasso.
Urge un cambiamento di prospettiva che abbracci il livello istituzionale ma anche quello personale. I nostri comportamenti, le nostre abitudini, devono cambiare, e devono essere incoraggiati da politiche pubbliche orientate al pieno dispiegamento dei diritti, al benessere umano e alla cura dei sistemi ecologici. Il paradigma della decrescita felice contiene in sé questo approccio, insieme personale e collettivo, locale e globale, pratico e politico, capace di innescare un cambiamento che oggi non può più attendere.
Per questo il Movimento per la Decrescita Felice, organizzazione nata da più di dieci anni e oggi composta da venti circoli diffusi su tutto il territorio nazionale, lancia il suo nuovo dossier intitolato “Il tempo della decrescita felice”. Il documento, liberamente scaricabile dal sito web dell’associazione, è una raccolta dei principali studi, ricerche, saggi che hanno riportato il tema della decrescita alla ribalta negli ultimi anni, a cavallo della pandemia, insieme a una serie di riflessioni di attiviste, giornaliste e un contributo di Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la Decrescita Felice.
Il dossier recupera preziosi lavori scientifici usciti su riviste come Nature, oppure diffusi da istituzioni come l’Agenzia Europea per l’Ambiente o lo European Environmental Bureau. Si tratta di testi che aiutano il lettore a comprendere la solidità dell’impostazione teorica della decrescita, dalla critica alla crescita verde – un concetto che anima le politiche internazionali da un ventennio senza aver mai dato risultati – alla proposta di includere la decrescita negli scenari di riduzione delle emissioni realizzati dall’IPCC, che oggi si basano spesso su un tecno-ottimismo tutto da provare.
Nel dossier si prosegue con il percorso iniziato con la pubblicazione de “Il mito della crescita verde”, traduzione a cura di MDF del rapporto dell’European Environmental Bureau (EEB), in cui viene dimostrato inequivocabilmente come sia impossibile pensare di porre rimedio alla crisi ecologica e climatica perseguendo allo stesso tempo la crescita economica, e propone che “le strategie politiche esistenti dirette all’incremento dell’efficienza debbano essere completate dalla ricerca della sufficienza, cioè dalla diretta riduzione della produzione economica in molti settori, e dalla parallela riduzione dei consumi, il che permetterà insieme un’alta qualità di vita all’interno dei limiti ecologici del pianeta.”
Ad arricchire la pubblicazione anche saggi brevi e interviste di attiviste, saggisti e giornaliste, che commentano la decrescita felice dal loro punto di osservazione. “Quando diversi anni fa parlavamo di decrescita, oltra all’interesse di alcune persone incontravamo scetticismo e scherno – dice Michel Cardito, co-presidente del Movimento per la Decrescita Felice – Oggi c’è una nuova generazione che ha ben chiaro il fatto che questi livelli di estrazione e consumo non sono sostenibili e devono essere ridotti. E’ una generazione che si sta ponendo il problema di quale via alternativa intraprendere per avere un futuro possibile e non è un caso che il discorso sulla decrescita felice torni prepotentemente alla ribalta in un momento simile, perché finalmente visto come possibile via di uscita da una crisi sistemica”.
Ridurre i flussi di materia e di energia che attraversano le economie è una chiave irrinunciabile su un pianeta in costante riscaldamento, caratterizzato da società basate su una produzione di merci e rifiuti che eccede di gran lunga i bisogni e le capacità di riciclo e rigenerazione. In questo quadro, la decrescita felice trova il suo senso profondo affrontando in teoria e in pratica i temi della produzione e distribuzione della ricchezza, della condivisione dei mezzi, della conoscenza e delle esperienze, dell’autoproduzione e della demercificazione laddove possibile ma anche dei servizi universali di base gratuiti, di un sistema sanitario a misura di paziente orientato alla sua salute e non la cura delle sue malattie, di un’agricoltura di prossimità basata su piccole aziende e non sul mercato globale.
La decrescita felice, forse non c’è più bisogno di ribadirlo, non è un “ritorno alla candela”, ma una proposta di rilocalizzazione dei sistemi produttivi e delle filiere di distribuzione, di riduzione controllata della produzione di merci in favore di una loro maggiore durata e utilità, di espansione dei servizi pubblici di cura, educazione, mobilità e di riforma dei sistemi energetici verso modelli di produzione comunitari e di piccola dimensione. E’ una riflessione sulla riduzione dell’orario di lavoro per aumentare l’occupazione di qualità, che permetta di liberare tempo per la vita familiare, la cultura o l’impegno sociale. “E’ un approccio solidale e compatibile con la necessità di una conversione ecologica che sia anche socialmente equa – conclude Cardito – Di fronte alle proposte di tagliare la spesa e i servizi che vediamo in atto, così come i deliri di un ritorno al nucleare per fronteggiare la crisi climatica, ci sembra di gran lunga la migliore opzione. Per questo è tempo di discuterne senza più timori e pregiudizi”.