Dunque, il Consiglio dei ministri deciderà il 23 dicembre (domani) come potremo/dovremo comportarci il giorno di Natale. Siamo in quella fascia di tempo in cui le rosticcerie non ti prendono nemmeno più l’ordine: “Mi spiace, signora, doveva dircelo prima”. E infatti gli italiani hanno fatto prima: chi doveva disdire ha disdetto, chi poteva confermare ha confermato, un po’ di parenti staranno a casa, si mentirà su obblighi e quarantene, tutti o quasi greenpassati e tutti alle prese con quella ormai familiare frase: “Vabbè, staremo un po’ attenti”.
Ma nelle decisioni prenatalizie che ci verranno gentilmente comunicate mentre facciamo i pacchetti, c’è qualcosa in più di qualche regola; c’è in controluce la crisi di una narrazione molto pressante, sulla pandemia, sulla scienza, e in definitiva sulle nostre vite ai tempi del Covid. Due unanimismi intrecciati hanno camminato di pari passo in questo anno: quello per superare la pandemia, uscirne finalmente, accettare regole e consigli a reti unificate, a volte un po’ balzani; e uno per il nuovo salvatore della politica, l’ennesima ultima spiaggia, eccetera eccetera, insomma, il draghismo semi-obbligatorio che il Paese respira come un aerosol. Ecco, è possibile ora che questi unanimismi si scollino un po’, che non marcino più così uniti come qualche mese fa. Ognuno dei due ha dato qualche cenno di cedimento, non la tenuta ferrea che si credeva.
Sul lato pandemia (ma ormai bisognerebbe dire “politica pandemica”) i nuovi sviluppi ci dicono che il vaccino ci protegge dall’intubazione, ma non da tutto il resto (dall’ammalarsi alla quarantena, all’isolamento, e via elencando, e tutto magari con un Green pass valido in tasca). Ognuno fa i conti con la sua propria situazione. Personalmente sarei un eroe della AZ generation, in attesa di booster-surprise, perché non so se mi toccherà Pfizer o Moderna, può darsi che tirino a sorte. Diciamo che non mi avvicino alla terza dose con la stessa soddisfatta serenità con cui ho ricevuto la prima e la seconda.
Si parlò addirittura, qualche mese fa, di vietare i tamponi, colpevoli di disincentivare al vaccino. Si infiammò persino la polemica: io con le mie tasse ti dovrei pagare il tampone! Ver-go-nia! Si colorò insomma il dibattito tamponi sì-tamponi no con quell’atteggiamento sbirresco e discriminatorio che faceva di uno col tampone il nemico sociale del momento, il parassita buono per il dileggio popolare. I romanzi distopici di Ballard ci fanno una pippa.
Oggi invece si certifica (cioè domani, con calma) che magari in certe situazioni (stadi, grandi eventi) non basterà il vaccino, e quindi il Green pass, ma ci vorrà anche un tampone, con nuovo Green pass, suppongo. E questo mentre un’altra proposta arriva alla “cabina di regia”: che per il trasporto locale non basti più il tampone, ma sia necessario il vaccino, in due dosi, meglio tre, e Green pass gold edition. Si è parlato anche (sono quei ballon d’essai lanciati per capire se c’è spazio di manovra) di Green pass più tampone per andare al cinema, o a teatro, con il che a teatro, spiace, ma non ci andrebbe più nemmeno Pirandello.
Insomma, la gestione tecnico-politica della pandemia non è più il Sacro Graal, che se lo tocchi sei un cane infedele. E siccome di tutto lo sbandierato boom economico nelle tasche della gente non sta finendo niente, ecco che anche i superpoteri di Supermario si fanno meno scintillanti. Due unanimismi abbracciati, uno che regge l’altro, sembrano un po’ meno abbracciati, e anche un po’ meno unanimi.