Roma. In una farmacia del quartiere Monti Tiburtini (quadrante Est), una mascherina Ffp2 ci viene venduta a 1,50 euro. Nei dintorni di Piazza Cavour (nel centrale quartiere Prati) il prezzo non cambia. Alla Piramide Cestia (Ostiense, Sud) si sale a 1,90 euro. Poco distante, a via Giustiniano Imperatore, le troviamo a 1 euro. Alle Stazioni di Termini e Tiburtina e a Piazza Bologna eccole a 0,75 euro. Il prezzo più basso lo troviamo a viale Marconi: 0,70 euro. Basta un breve giro nelle farmacie della Capitale per capire che l’annuncio del commissario all’emergenza Covid Francesco Paolo Figliuolo di imporre la vendita delle mascherine Ffp2 a 75 centesimi in farmacia non sta in piedi. E il motivo è semplice: non c’è stato alcun prezzo “calmierato” per legge. Eppure diverse dichiarazioni e l’eco mediatica hanno fatto credere il contrario.
La novità. Le Ffp2 sono mascherine molto più efficaci di quelle chirurgiche. Per il microbiologo Andrea Crisanti sono addirittura più efficaci del vaccino nel prevenire il contagio. Dal 25 dicembre il governo ne ha imposto l’obbligo su mezzi di trasporto e luoghi pubblici come cinema, teatri, eventi sportivi ecc. L’uso della Ffp2 è previsto anche per l’auto-sorveglianza post contatto a rischio per chi ha fatto la terza dose e, con l’ultimo decreto, anche per gli studenti delle medie in caso di due positività in classe. Problema: nonostante l’efficacia e l’obbligo di legge, il governo non ha fornito gratuitamente le Ffp2 alle scuole e, inizialmente, non ha neanche frenato la speculazione sui prezzi; è intervenuto solo quando, a fine dicembre, sono esplosi. La modalità, però, è curiosa.
L’accordo. Figliuolo ha aperto un tavolo con FederFarma, AssoFarm e FarmacieUnite e il 3 gennaio ha chiuso un accordo fissando un tetto massimo di vendita a 75 centesimi. L’accordo è un protocollo, non un’ordinanza. Non c’è alcun obbligo: l’adesione è volontaria, una farmacia può non aderire anche se fa parte di una delle associazioni firmatarie.
Il precedente. Il parallelo con la scelta fatta a fine aprile 2020 dal predecessore di Figliuolo, Domenico Arcuri, non regge. Arcuri fu criticato per aver deciso di fissare un prezzo calmierato per legge per le mascherine chirurgiche. Era la prima fase della pandemia, le mascherine erano introvabili o arrivavano a costare anche 6 euro. Arcuri fissò con un’ordinanza il prezzo massimo di 50 centesimi, al netto dell’Iva, che poi fu abolita. Nonostante le critiche di Federfarma, Confindustria e diversi partiti (come Italia Viva, che oggi plaude a Figliuolo) la mossa non ha schiantato il mercato: prima del Covid le “chirurgiche” venivano vendute a 15-20 centesimi e quindi il prezzo scelto da Arcuri garantiva a tutta la filiera (produttori, distributori e venditori) un margine più che adeguato. Insomma, è stata solo frenata la speculazione. Dopo l’ordinanza, Arcuri siglò un faticoso protocollo con farmacisti, grande distribuzione e tabaccai per rimborsare chi aveva comprato mascherine a prezzi superiori. Oggi le chirurgiche sono tornate ai prezzi pre-Covid.
L’effetto. Il protocollo siglato da Figliuolo ha avuto una grande eco mediatica: quasi tutto l’arco parlamentare plaude alla scelta, ma la realtà è che per ora ognuno va per conto suo. C’è poi un tema prezzo. Ad aprile 2020 l’analisi di mercato venne fatta da Invitalia. Al Fatto la struttura commissariale guidata da Figliuolo non ha voluto spiegare l’iter seguito. Il prezzo sarebbe emerso nel confronto con le associazioni al tavolo tecnico. È alto? Vale la pena di notare che la grande distribuzione le vendeva già prima a prezzi più bassi (la Coop, per dire, a 50 centesimi), lo stesso accade su Amazon. Perché fissarlo a 75 centesimi? Secondo gli aderenti è il prezzo giusto che permette di tutelare anche le farmacie più piccole o delle aree rurali. Il rischio però, di cui già si colgono segnali, è che invece di innescare una concorrenza al ribasso, questo diventi il nuovo prezzo base, di fatto un favore alle farmacie. A breve si capirà chi ha ragione.