La rielezione di Sergio Mattarella (avvenuta con 759 voti, il secondo di sempre dietro a Sandro Pertini) viene presentata come la festa della democrazia, ma qualche problema alla Costituzione lo pone. Si era partiti con l’ipotesi Silvio Berlusconi contrapposta a quella di Mario Draghi. Quelle due soluzioni sono state sconfitte entrambe e questo è certamente motivo di soddisfazione per chi teme, come noi, il rafforzamento della larga coalizione nazionale che fin qui non ha risolto nessuno dei problemi che diceva di voler risolvere.
Se Silvio Berlusconi è uscito di scena e ora dovrà ricomporre i cocci di una Forza Italia esplosa dopo lo spiaggiamento di Elisabetta Casellati, Mario Draghi non può gridare vittoria. E’ stato certamente lesto a intestarsi la rielezione di Mattarella andandoci a discutere nella mattinata di sabato 29, facendosi ponte con i partiti, ma la sua ambizione quirinalizia è stata bloccata. La spinta per la sua elezione era forte, proveniente soprattutto da Enrico Letta, dai vari centristi e dall’ala dei 5Stelle guidata da Luigi Di Maio. Le sue telefonate per fare pressione sono state rivelate ai giornali e lui stesso non ha fatto mistero, con chiunque abbia parlato, della profonda irritazione per il voltafaccia di alleati di governo come Salvini. Ma sia il leader leghista che Giuseppe Conte non si sono smossi, nonostante la narrazione di quasi tutti i giornali e i talk show, maratone comprese. Draghi dovrà quindi aspettare ancora e se Mattarella conferma quanto ha finora detto, cioè che non accetterà un mandato a tempo, l’ipotesi Quirinale per lui potrebbe non avverarsi più (ma Mattarella confermerà davvero?).
La sconfitta delle ambizioni di Draghi, però, non significa che l’elezione di Mattarella sia davvero una festa della democrazia. Certo, con quello che poteva capitare è un sollievo, trattandosi di figura di grande levatura, rispettosa della Costituzione, antifascista, persona perbene. Ma la rielezione, per la seconda volta dopo quella di Giorgio Napolitano, è un vulnus della Costituzione. Ben maggiore di quello che avrebbe potuto rappresentare l’elezione di Elisabetta Belloni oggi capo del Dis. Ipotesi da contestare magari per l’anonimato politico della prescelta, non certo per la sua attuale collocazione ai Servizi dopo una vita passata nella diplomazia. Argomenti pretestuosi, non a caso veicolati da Matteo Renzi, spiazzato da un’ipotesi che lo aveva tagliato fuori.
Mattarella gestirà senz’altro questa rielezione nel migliore dei modi, ma la ferita resta, soprattutto dopo che lui stesso aveva fatto intendere chiaramente di non voler essere rieletto. Ferita che non riguarda solo la Costituzione formale, ma che ha riflessi sul quadro politico. Il mondo politico non dovrebbe sottovalutare l’efficacia della posizione di Giorgia Meloni che opponendosi oggi a questo congelamento politico appare come la donna politica (unica leader) più intraprendente e aperta alle domande che provengono dal Paese. E’ prevedibile un suo ulteriore successo elettorale soprattutto a fronte di una coalizione di centrodestra che, come ha detto lei stessa, “deve essere ricostruita da capo”.
E già si intravedono le manovre per riarticolare il quadro politico. Nello sfarinamento dell’attuale centrodestra Enrico Letta ha fatto chiaramente capire che intende lanciare messaggi di apertura a Forza Italia. Ha telefonato a Berlusconi e ha invitato i forzisti a dialogare magari nell’ipotesi di una futuribile “maggioranza Ursula” sul modello di quella che ha dato il sostegno alla Commissione europea.
I partiti escono complessivamente a pezzi. Tutti hanno un dissenso interno da governare, soprattutto la Lega con lo scontro tra Salvini e Giancarlo Giorgetti venuto allo scoperto con l’ipotesi di dimissioni di quest’ultimo da ministro (per poi ripensarci in serata). Ma anche Conte dovrà fare i conti con un Di Maio che, secondo quanto ricostruito dal Foglio, ha lavorato attivamente per far saltare l’ipotesi di Belloni presidente. Sul giornale in edicola domenica leggerete le ricostruzioni su come andate veramente le trattative su questa candidatura e chi ha tradito chi.
Chiudiamo questa settimana con un nuovo presidente che è lo stesso di prima. La politica italiana non ha fatto grandi passi avanti, ma evidentemente non poteva farli. La vera partita comincia ora: Draghi dovrà dimostrare di saper governare le difficoltà in un quadro dei partiti in crisi e già orientati alla campagna elettorale. Come già accaduto tante altre volte il centro delle loro occupazioni sarà soprattutto la legge elettorale. Servirebbe invece una iniziativa limpida che uscisse da queste pastoie e pensasse seriamente a una società italiana che si dibatte nell’emergenza pandemica, in quella sociale, a cominciare da un’impennata inflazionistica che si sta scaricando sulle fasce più deboli e anche in quella generazionale con studenti che si mobilitano da mesi e che quando scendono in piazza trovano ad accoglierli solo un manganello.