Davanti al passaggio della lettera di Tiziano Renzi al figlio Matteo che definisce “Boschi, Bonifazi e Bianchi la Banda Bassotti che ha lucrato su di te senza ritegno” (per non parlare di Marco Carrai, “un uomo falso”) il primo, immediato pensiero è che se un giudizio del genere fosse stato pubblicato sul Fatto Quotidiano, lo statista di Rignano avrebbe preteso, a dir poco, il sequestro della testata, oltre al pignoramento del mobilio di casa.
L’altra, inevitabile, riflessione è: se lo dice lui… Perché babbo Renzi, oltre ad aver conosciuto, e molto da vicino, le “cattive” compagnie del su figliolo non ignora certo le bassezze della politica, avendola a lungo frequentata sia pure in ambiti periferici. E, tuttavia, essere arrivato al punto di marchiare come “Banda Bassotti” il Giglio Tragico, significa che deve avere osservato, e molto da vicino, cose che noi umani neppure immaginiamo.
Poiché la lettera (depositata dalla Procura di Firenze al processo per bancarotta) risale al 2017, proviamo a immaginare l’esistenza di altre missive riguardanti le successive tappe della, per così dire, mutazione renziana. Scritte con il medesimo linguaggio esplicito di un padre piuttosto preoccupato dalle frequentazioni del figlio. Dalla creazione di un partito finto come Italia Viva (dopo averne distrutto uno esistente). Fino agli stretti rapporti intrattenuti con l’autocrate saudita Mohammad bin Salman (accusato di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Khashoggi). E alle ricche consulenze percepite da uno dei regimi più oscurantisti del pianeta, definito con entusiasmo dal percettore come la patria di un “nuovo Rinascimento”.
Purtroppo stiamo galoppando troppo con la fantasia a giudicare dal passaggio della lettera dove Tiziano, nell’elogiare l’erede, considera “geniale” la “mossa di rimandare le dimissioni” da segretario del Pd. E qui ci soccorre il latinorum: qualis pater, talis filius. O no?