Appena digerito, ma non del tutto, il passato di verdure con vista Quirinale consumato con Salvini, l’emerito Sabino Cassese è passato all’acqua calda con un editoriale sul Corriere dal titolo: “La politica ha bisogno di regole”. Ma va? È dagli anni 40, cioè dalla Costituente e dal celebre appello di don Luigi Sturzo, che si discetta dell’urgenza di dare una veste giuridica ai partiti, attuando l’articolo 49 della Carta affinché rispettino almeno le regole che si danno. Cassese però ne approfitta per paragonare due “vicende giudiziarie che coinvolgono i 5Stelle e il Pd”. Cioè per sommare le mele con le pere.
La mela è l’ordinanza cautelare del Tribunale di Napoli che ha sospeso le delibere dell’agosto scorso sulla modifica dello Statuto M5S e l’elezione di Conte a presidente perché votate “con l’esclusione degli iscritti da meno di 6 mesi… in assenza di un regolamento”: una storia di pure scartoffie, peraltro sbagliate perché quel regolamento non era assente, ma presentissimo dal 2018 (infatti il M5S ha chiesto la revoca del provvedimento). Quindi, contrariamente a quanto scrive Cassese a proposito della loro presunta “anomia”, i 5Stelle non hanno violato, ma osservato “le norme che essi stessi si sono dati”.
La pera è invece una brutta storia di vile danaro: l’inchiesta sulla “fondazione” Open, che in realtà era un trucco per aggirare la legge sul finanziamento ai partiti, quella sì voluta dai partiti medesimi, che la votarono nel lontano 1974, non la abrogarono mai, ma la violarono spesso. Prevede che essi possano farsi finanziare da chi vogliono, purché il finanziatore iscriva i fondi a bilancio e il partito li registri nell’apposito elenco in Parlamento a disposizione degli elettori, che hanno il diritto di sapere.
La stessa trasparenza non è prevista per le fondazioni, che anzi schermano finanziatori e finanziamenti dietro il paravento della privacy. Poi ogni tanto arriva un magistrato e li smaschera. Come nel caso di Open, che non è un processo alle regole dei partiti e delle fondazioni, ma a un gruppo di politici (Renzi e i suoi cari, ora quasi tutti in Italia Viva) che prendevano soldi per fare politica nel Pd (avvantaggiandosi sulle altre correnti per mantenere il controllo del partito), ma anziché al Pd li facevano versare a Open. Di qui l’accusa di finanziamento illecito. Alcuni dei finanziatori, poi, ricevevano dai finanziati favori sotto forma di fondi pubblici e leggi su misura, il che trasforma i finanziamenti in possibili tangenti: di qui le accuse di corruzione e traffico di influenze.
Naturalmente, per Cassese, i magistrati di Napoli hanno ragione anche se hanno torto e quelli di Firenze hanno torto anche se hanno ragione. Ma questo è tipico di chi vive nel Paese di Sottosopra.