Siamo aggrediti da una pandemia mondiale che mette in contrapposizione chi crede nella scienza e chi vede come un assalto alla libertà le pratiche restrittive che portano a costringere l’uso del vaccino. Proprio su questa divergenza di opinione si sta scatenando la protesta di migliaia di persone che scendono in piazza con una violenza inaudita e una determinazione incrollabile. Questa fede, perché di fede si tratta, da dove nasce? Sicuramente da una paura, un malessere contagioso, che vede nel vaccino un pericolo per la propria salute e quella dei figli, con l’idea di sconosciute e terribili conseguenze. Mi chiedo quindi come mai la nostra civiltà, che sta vivendo “senza preoccupazione” l’attacco di un nemico ugualmente pericoloso, se non più invasivo ai danni del nostro corpo, non reagisca con la stessa energia, non abbia l’adeguata paura per un futuro drammatico e non scenda in piazza.
Parlo della plastica, un materiale indistruttibile, comodo, resistente, leggero e a buon mercato, creato solo pochi anni fa, un lasso di tempo minimo se si pensa alla vita del Pianeta, che è presente ormai ovunque: dai ghiacciai agli abissi, dal sale all’acqua e, secondo una recente ricerca condotta dall’Università di Bayreuth, in Germania, addirittura nella pioggia, che trasporta le microplastiche risucchiate dagli oceani, ormai invasi da enormi isole di plastica galleggianti che continuano pericolosamente a crescere. Si stima che ogni anno vengano prodotte 300 milioni di tonnellate di plastica, di cui 13 milioni finiscono negli oceani trasformandosi in microplastiche e minacciando oltre 700 specie marine al livello globale, che scambiano la plastica per cibo e muoiono per indigestione o soffocamento.
Non dobbiamo poi dimenticare il problema delle nanoplastiche: nemici invisibili che entrano quotidianamente nell’ambiente marino e che alcuni ricercatori dell’Università di Utrecht, in Olanda, hanno rinvenuto nella calotta glaciale al Polo Nord e al Polo Sud. Non fa paura sapere che le microplastiche sono state rinvenute nei tessuti della placenta umana, nel Sancta Sanctorum che protegge una nuova vita, come dimostra il recente studio del Professor Antonio Ragusa, direttore Uoc di Ostetricia e Ginecologia del Fatebenefratelli di Roma? Non fa paura sapere che le nanoplastiche sono presenti negli occhi di alcune specie di pesci, compromettendone in modo permanente struttura e funzionalità – come riportato da alcuni studi recenti condotti dalla Prof.ssa Margherita Ferrante, responsabile del laboratorio di Igiene Ambientale e degli Alimenti presso l’Università di Catania – e che questa sorte potrebbe capitare anche a noi, visto che la nostra esistenza è imperniata sull’uso della plastica?
La risposta è che non abbiamo paura perché non siamo ancora consapevoli. Mentre del Covid si parla quotidianamente in televisione, nei giornali, nelle radio, sui social, e dibattiti e talk si susseguono a ritmo incalzante, i media non hanno svolto allo stesso modo il loro ruolo di comunicatori nei confronti del problema gigantesco, silenzioso eppure mortale, della plastica in mare. La politica ha preso posizioni forti emanando decreti giornalieri per affrontare la pandemia, ma non si sta facendo nulla per la plastica nei mari che entra, di conseguenza, nella nostra catena alimentare.
La Plastic Tax, la cui entrata in vigore era attesa nel 2020, è stata posticipata al 2022 e ora al 2023 e non sappiamo se sarà confermata, a causa di interessi economici troppo forti che la continuano a bloccarla.
La Legge Salvamare, presentata nel 2018, che prevede il recupero dei rifiuti dalle reti dei pescatori e sistemi di sbarramento alla foce dei corsi d’acqua prima che la plastica entri nel mare, è ancora in terza lettura alla Camera. Non ci fa paura sapere che ogni minuto continuiamo a produrre e disperdere nell’ambiente un nemico tanto pericoloso? Cosa aspettiamo a scendere in piazza per chiedere il diritto alla salute nostra e dei nostri figli?