Ha plaudito alla Corte costituzionale che ha svuotato l’ergastolo ostativo per mafiosi e terroristi che non hanno collaborato. Ha parlato di antimafia “arroccata nel culto dei martiri” e la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che in Parlamento si è profusa in retorica in vista del trentennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio, lo sceglie come nuovo capo del Dap al posto di Dino Petralia, in pensione anticipata. Il designato è Carlo Renoldi, consigliere della prima sezione penale della Cassazione, esponente di Magistratura democratica. Un semplificatore elementare, pensa che chiunque sia contro l’allentamento del 41-bis e dell’ostativo sia un giustizialista, e pure arcaico. Ma la scelta non sorprende: Cartabia era vicepresidente quando nell’ottobre del 2019 la Consulta stabilì che era incostituzionale l’ostativo che fino ad allora impediva a ergastolani mafiosi (la stragrande maggioranza) e terroristi non collaboratori di chiedere i permessi premio. Ed era già ministra nell’aprile 2021 quando la Corte ha bocciato l’ostativo alla libertà condizionata, rinviando al Parlamento la modifica entro il prossimo maggio. In questo lasso di tempo c’è stato un cambio di posizione dell’Avvocatura dello Stato. Nel 2019, ministro Bonafede, si era schierata contro la tesi di incostituzionalità della Cassazione, accolta dalla Consulta, mentre l’anno scorso si è allineata.
Per capire il pensiero del giudice Renoldi è utile ascoltare il suo intervento del 29 luglio 2020 a un convegno sul carcere organizzato a Firenze. Renoldi decanta i provvedimenti “epocali” della Consulta “che hanno riscritto importanti settori dell’ordinamento penitenziario” e si congratula per la sentenza che apre ai permessi premio per mafiosi ergastolani non collaboratori, perché “ha minato alle fondamenta i dispositivi di presunzione di pericolosità sociale che sono incentrati sull’articolo 4-bis dell’Ordinamento penitenziario”. Altro merito della Consulta è l’aver “riconosciuto finalmente il divieto di effetto retroattivo della Spazzacorrotti”, quella di Bonafede.
Altro faro per Renoldi è la Cedu e la “sentenza Viola” contro l’Italia: “Ha acquisito alla dimensione del diritto convenzionale il principio della flessibilità della pena, del finalismo rieducativo con la conseguente incompatibilità con l’ergastolo ostativo”. Tuttavia, spiega, “a queste aperture sul piano normativo, molto importanti” ci sono state reazioni opposte “abbastanza trasversali”. E qui parte l’attacco. Era il 2020, quando non immaginava il ruolo che gli sarebbe stato proposto: “Mi riferisco al Dap, ad alcuni sindacati della polizia penitenziaria, ad alcuni ambienti dell’antimafia militante, ad alcuni settori dell’associazionismo giudiziario e anche ad alcuni ambiti della magistratura di Sorveglianza. Un Dap che in questi anni è rimasto profondamente ostile a quegli istituti che tentano di varare una nuova stagione di diritti ‘giustiziabili’ per le persone detenute. Un atteggiamento miope di alcune sigle sindacali che declinano ancora la loro nobile funzione in una chiave microcorporativa”. Poi il siluro alle posizioni antimafia, contro lo svuotamento dell’ostativo: “Pensiamo all’antimafia militante arroccata nel culto dei martiri, che certamente è giusto celebrare, ma che vengono ricordati attraverso esclusivamente il richiamo al sangue versato, alla necessaria esemplarità della risposta repressiva contro un nemico che viene presentato come irriducibile, dimenticando ancora una volta che la prima vera azione di contrasto nei confronti delle mafie, cioè l’affermazione della legalità, non può essere scissa dal riconoscimento dei diritti”. Non per “esercizio di buonismo, ma come gesto politico ed etico di fedeltà alla Costituzione”. Da chi è costituito per Renoldi il mondo dell’antimafia? Da “associazioni, testate editoriali, soggetti istituzionali, un mondo nel quale accanto a figure animate da un giustizialismo ottuso ci sono però personalità che appartengono alla cultura democratica la cui voce sul carcere ultimamente è stata però declinata solo sul versante del contrasto alla criminalità organizzata, come se la grande questione carceraria potesse essere ridotta ai temi pure importati dalla mafia, del 41-bis”. Con i giustizialisti “democratici” vuole “riannodare i fili del dialogo”. Chissà se considera “ottuso” o dialogante Roberto Tartaglia, il vicecapo del Dap, ex pm del processo sulla trattativa Stato-mafia insieme a Nino Di Matteo, Vittorio Teresi e Francesco Del Bene.