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Rispetto alla Russia, l’unica vera certezza sono i (troppi) dubbi

9 Marzo 2022

In questi tempi di sangue, invidio le certezze che in tanti dimostrano di avere. Invidio quelle dei commentatori tv, sicuri che per far finire la guerra e riportare all’ordine Vladimir Putin bisogna armare gli ucraini e inasprire le sanzioni. E invidio pure quelle dei pacifisti a ogni costo: un’esigua minoranza, diventata il surreale bersaglio di quasi tutti i giornali, convinta che la guerra finirà solo se gli ucraini smetteranno di combattere e si arrenderanno all’invasore.

Io, ve lo confesso, di certezze invece non ne ho. Se penso al popolo ucraino che ha eroicamente deciso di difendere la patria pur sapendo di essere verosimilmente destinato alla sconfitta, il cuore mi dice che dare una mano è un dovere. Restare fermi, non inviare missili ed esplosivi o impedire a chi viene dall’estero di arruolarsi nelle brigate internazionali, mi sembra omissione di soccorso, vigliaccheria, diserzione.

Ma se poi ascolto il cervello intuisco che altre armi e altri uomini significheranno altro sangue e soprattutto il sangue di chi la guerra non la vuole o non la può fare: i civili. Mi viene in mente allora Gino Strada, che raccontava come in Afghanistan solo il 7 per cento delle decine di migliaia di persone accolte dagli ospedali di Emergency fosse un combattente: tutti gli altri erano donne, bambini, anziani, semplici cittadini la cui unica colpa era quella di essere nati nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

Ecco allora che penso: arrendersi è giusto perché è il male minore. Che diano a Putin la Crimea, il Donbass, la neutralità e la testa (politica) del presidente Zelensky! Eppure, se ci rifletto, anche questo ragionamento non torna. Perché gli ucraini di arrendersi non ne vogliono sapere e perché nessuno è in grado di dire se Putin, una volta presa Kiev, non passerà alla Moldavia o addirittura alle Repubbliche baltiche visto che il suo alleato bielorusso reclama uno sbocco al mare. Così la guerra totale, che non voglio, diventa di nuovo ineluttabile come purtroppo era diventata ineluttabile la Prima guerra mondiale scoppiata senza che nessuno realmente la volesse. Perché poi, te lo spiegano sempre in tv i tanti commentatori che in vita loro non hanno mai visto un morto ammazzato o annusato l’odore del sangue e della carne bruciata, bisogna ricordarsi di cosa accadde dopo. Bisogna ricordarsi del 1938. Bisogna rammentare cosa fece Hitler quando gli altri Paesi del mondo festeggiarono una breve pace permettendogli di annettersi i Sudeti.

E allora, mi dico, è giusto mettersi di mezzo. È giusto provare a piegare la Russia con sanzioni sempre più dure. È giusto decidere di restare al freddo rinunciando persino, come fanno Usa e Gran Bretagna, a gas e petrolio, anche se noi a differenza loro non sappiamo come sostituirli. Già, è giusto. Perché senza gli 800 milioni di euro che ogni giorno l’Europa versa a Mosca in cambio di combustibili, Putin si ritroverà nell’angolo. Senza soldi, senza amici. Nell’angolo. E quindi, penso, tratterà. Solo che dopo un attimo non ne sono più sicuro. Perché ha 5.500 testate nucleari che la Germania non aveva. Perché spesso le belve ferite fanno gesti inconsulti. E allora spero nella mediazione della Cina, in quella di Israele.

Non prego perché non ci credo, ma alzo gli occhi al cielo per guardare le stelle. Chissà se tra un anno io e mia figlia le potremo ammirare ancora? La storia ci insegna che le guerre, anche le nostre, a volte scoppiano per caso. Così oggi ho un’unica certezza. Quella di Albert Einstein: dopo la terza guerra mondiale, la quarta verrà combattuta con pietre e bastoni.

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