Ieri lo ha detto anche il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, in una mattutina intervista a Sky Tg 24, sostenendo di nuovo la proposta di mettere un tetto di prezzo europeo al gas: se i flussi di idrocarburi da Mosca continuano a essere regolari, per spiegare la scalata dei prezzi non resta che la speculazione, finanziaria e non, che si traduce in extraprofitti quantificati dall’Agenzia internazionale dell’Energia in 200 miliardi dal comparto energetico Ue nel 2022.
La fonte primaria degli aumenti è la formazione del prezzo del gas sui mercati, che varia a seconda del tipo di acquisto: semplificando, possiamo dire che esistono i contratti di fornitura con i produttori a lunghissimo periodo, anche trentennale, che includono spesso investimenti e infrastrutture; i futures al Ttf, il punto di negoziazione per il gas dei Paesi Bassi, che rappresentano il valore del gas previsto alla scadenza del contratto future, e gli acquisti a prezzi spot, ovvero al costo del gas in un istante preciso.
L’esempio italiano – racconta Mario Menichella in un’interessante analisi per la Fondazione Hume – è emblematico di come funziona una quota del sistema. Gran parte del gas italiano è importato da Eni, Enel e Edison e acquistato con contratti pluriennali a prezzi che, però, non si conoscono. Solo una piccola frazione arriva dal mercato libero, dove il prezzo – spot e a tre mesi – si forma giornalmente. Questi grossisti, a loro volta, rivendono sul mercato italiano “spot” del gas (Psv) dove il prezzo di riferimento è quello dei Paesi Bassi. Ebbene, nel dicembre 2021 l’Italia ha importato dall’estero 7,1 miliardi di Smc (metro cubo standard) di gas: il 71% è derivato da importazioni via gasdotto, il 26% da Gnl (che ha prezzi più stabili) e il 3% dalla produzione nazionale. Si sa che dei contratti per le importazioni nel 2020, circa il 77% aveva già una durata residua tra 5 e 30 anni.
Eni, in particolare, secondo l’analisi, importa circa il 60% del suo fabbisogno, più o meno la metà del gas estero che entra in Italia e ne acquista circa il 30% al mercato Psv. Viceversa, gli altri grandi operatori italiani del mercato all’ingrosso del gas si approvvigionano prevalentemente al mercato Psv (82%). Questo significherebbe che Eni compra circa due terzi del gas di cui si approvvigiona a prezzi vantaggiosi, ma poi lo rivende a prezzi di mercato (attualmente crescenti) . E più sale il prezzo, maggiori sono i margini di guadagno. Basti pensare che tra novembre-dicembre il prezzo spot Ttf è salito sino a 180 euro/MWh contro i 40 del prezzo doganale, considerato il riferimento per i contratti decennali. Per dare un’idea, Eni ha chiuso l’ultimo trimestre 2021, quello con prezzi già alti, con 2,1 miliardi di utili netti sui 4,7 miliardi totali dell’anno.
Inutili, per la regolazione del prezzo, gli stoccaggi nazionali: nonostante le aziende che li gestiscono (Snam e Edison) ne ricavino profumate royalties per il servizio, il loro apporto nella regolazione del mercato è nullo (e intanto stanno facendo begli utili anche loro).
Infine, c’è la parte finanziaria. A febbraio, il colosso petrolifero Shell aveva segnalato un afflusso di hedge fund e altri operatori nei mercati del gas europei che nell’ultimo anno avrebbero contribuito a far alzare i prezzi e alla volatilità del mercato. Come raccontato dal Sole 24 Ore, secondo le statistiche della Borsa al 4 marzo c’erano 218 soggetti finanziari esposti sul gas del Ttf: 164 erano hedge fund, banche & C. con in mano il 17,8% delle posizioni lunghe e il 12,1% di quelle corte; i soggetti commerciali erano invece 134 col 75,3% delle posizioni lunghe (all’acquisto) e il 61,9% di quelle corte (alla vendita). Tra i maggiori beneficiari, Statar Capital che nel 2021 ha registrato un +56% sul gas; Andurand Capital Management, che sul rialzo del petrolio ha guadagnato il 109%; poi E360 Power (elettricità) con + 187% nel 2021. A non dire delle banche d’affari – da Goldman Sachs, BofA, Bnp Paribas e Morgan Stanley – che, a stare ai rumors, si sarebbero mosse sulle commodity.
Infine, c’è pure il guadagno che arriva dal prezzo dell’energia per i cittadini più fragili visto che il prezzo (trimestrale) per il mercato di maggior tutela si basa sulle previsioni del mercato all’ingrosso. Problema: alla Borsa elettrica le offerte di energia sono accettate a prezzo crescente fino alla soddisfazione totale della domanda. A quel punto, il prezzo al kWh dell’ultimo offerente accettato (quindi quello più alto) viene attribuito a tutte le offerte. Il prezzo a MWh, insomma, dipende dalla fonte più cara. Il paradosso? In Italia gli impianti a ciclo combinato alimentati a gas rappresentano la tecnologia marginale in circa il 50% delle ore. “Perfino se avessimo, in un dato momento, il 99,9% dell’elettricità venduta prodotta con fonti rinnovabili (quindi a costo quasi zero) – scrive Menichella – l’ultimo kWh prodotto col gas la farebbe costare tutta come fosse prodotta col gas”.