Quando finirà questa guerra? È la sola domanda che interessa alle persone che s’informano sui giornali o con la tv, e a coloro che semplicemente esprimono un’accorata speranza comune. Lo so perché chi fa il nostro mestiere viene ritenuto depositario di chissà quali segreti, anche se con me cascano male. Infatti, non conosco il finale di questa immane tragedia e, confesso, neppure ciò che accadrà tra un’ora.
Capita invece di ascoltare certi illuminati superesperti (mille volte più bravi di me, lo ammetto) che avendo già in tasca la soluzione del problema spezzano in diretta il pane della conoscenza rivelandoci sofisticati piani strategici di cui, probabilmente, neppure Putin e Zelensky sono al corrente. Capita anche di essere bonariamente presi in giro da costoro se ci si azzarda semplicemente a collegare alcune notizie di fonte ufficiale. Quelle, per esempio, che riportano la delusione del presidente ucraino per il gelo della Nato nel non considerare l’ipotesi di un ingresso di Kiev, anche in prospettiva, nell’Alleanza Atlantica.
Lo stesso prudente distacco manifestato nel recente Vertice di Versailles riguardo all’accettazione dell’Ucraina tra gli Stati membri Ue (al massimo potrebbe farsi un giretto nel programma Erasmus). Tutti segnali che (anche per chi non fa parte di un think tank connesso con il Pentagono) fanno presumere che una dichiarazione di neutralità dell’Ucraina – su richiesta russa e magari formalizzata in Costituzione – potrebbe non essere considerata dai Paesi Nato come una provocazione tale da scatenare la terza guerra mondiale.
Capita invece che, già di per sé, il termine neutralità mandi su tutte le furie i belligeranti dattilografi di casa nostra, in quanto sinonimo di resa pacifista, di panciafichismo codardo, di linguaggio oggettivamente al servizio dell’aggressore russo. Di una neutralità ucraina modello Svizzera, “come opzione più ragionevole, la vera soluzione del conflitto, un Paese con un’indipendenza totale, purché non ricorra mai all’uso delle armi”, parla spesso Sergio Romano, ambasciatore presso la Nato, e poi a Mosca quando ancora esisteva l’Urss. Da arruolare dunque tra i servi del Cremlino, secondo i nostri agguerritissimi dottor Stranamore.