Dopo anni in cui ci siamo dovuti sorbire “a reti unificate” gli elogi sperticati di Mario Draghi, “il quale avrebbe (e lui solo avrebbe potuto farlo!) salvato l’euro, l’Europa e, se fosse passato per New York, chissà, avrebbe dato anche una sistemata all’Onu o cos’altro”, come è scritto nel prologo, finalmente esce un libro che rimette le cose nella loro giusta dimensione. Il volume in questione è Santo subito – Mario Draghi è veramente un fuoriclasse dell’economia? di Giovanni La Torre, edito da PaperFirst, la casa editrice del Fatto Quotidiano, che esce oggi in tutte le librerie (16,50 euro).
Tali elogi esagerati e acritici dedicati a SuperMario, secondo l’autore, sarebbero il frutto di un vizio atavico di noi italiani che periodicamente risorge: il “trombonismo”. Secondo questo vezzo quando un italiano va all’estero (nella fattispecie Draghi alla Bce) sistema sempre tutto e si impone all’attenzione del mondo intero, il quale da quel momento penderebbe dalle sue labbra e dai suoi ordini. La Torre fa notare che autorevoli commentatori avevano pronosticato, non si capisce bene sulla base di quale ragionamento fondato, la leadership del Nostro in Europa, e che lui avrebbe impartito ordini all’Unione europea, cosa che ovviamente non è accaduta perché stava solo nella mente dei commentatori medesimi.
Come non dare ragione all’autore se, per esempio, in occasione della crisi ucraina il nostro capo di governo ha svolto solo il ruolo di spettatore?
La narrazione del libro, dopo qualche breve cenno biografico, parte dalla formazione di Draghi e già qui viene smontato uno dei miti costruiti intorno a lui: quello di essere un allievo di Federico Caffè. Non che non l’abbia avuto come professore, ma il punto è che si è trattato solo di una mera coincidenza biografica senza alcun seguito nel pensiero e nella prassi successiva dell’allievo. Infatti Draghi, negli anni trascorsi negli Stati Uniti al Mit, dopo la laurea in economia alla Sapienza di Roma, ha maturato una formazione fondamentalmente neoliberista, contraria al pensiero di Caffè, formazione che spiega le esternazioni e i comportamenti successivi.
Prima di giungere alla Bce, SuperMario è stato Direttore generale del Tesoro e Governatore della Banca d’Italia e in queste cariche, secondo La Torre, non ha svolto il suo ruolo come i commentatori e biografi attuali ci vogliono far credere. Nel primo caso vi è stata la gestione del dossier privatizzazioni, dove trova posto anche il discorso tenuto sul panfilo Britannia. Sul punto l’autore riporta la dichiarazione tranchant di Cossiga, secondo il quale “Draghi? Un vile affarista, il liquidatore dell’industria pubblica italiana”.
Nel secondo caso vengono esaminati tre fatti che hanno caratterizzato il suo governatorato: l’autorizzazione nel marzo 2008 all’acquisto di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi di Siena a un prezzo spropositato, e che è stata la causa principale del successivo dissesto della “banca più antica del mondo”, la poco canonica partecipazione a una cena “segreta” a casa del giornalista Bruno Vespa nell’aprile 2010, e la lettera che ha firmato insieme all’allora presidente della Bce Trichet nell’agosto 2011 e indirizzata al presidente del Consiglio italiano dell’epoca Silvio Berlusconi.
Ma l’analisi più sorprendente, per noi che siamo stati indottrinati da tempo sul periodo passato dal Nostro alla Bce, ci pare che l’autore la riservi proprio a questi anni, che poi sono quelli della santificazione di SuperMario. La Torre dimostra, con considerazioni affatto originali e illustrati in modo comprensibile anche per chi non è economista, che nel quasi decennio passato a Francoforte l’attuale presidente del Consiglio ha fatto semplicemente gli interessi della Germania, facendoci sorgere perfino il dubbio se non abbia arrecato più danni che benefici all’Italia e all’intera Unione europea. Lo stesso comportamento di Angela Merkel, in questi anni glorificata come saggia mediatrice tra il Quantitative easing di Draghi e i cani da guardia dell’ortodossia tedesca, Weidmann e Schäuble, in realtà si spiegherebbe, secondo l’autore, più semplicemente con il fatto che il nostro attuale premier alla Bce perseguiva proprio la politica che la cancelliera desiderava per la sua Germania. I lettori potranno convincersene agevolmente leggendo le pagine dedicate a quel periodo della vita di SuperMario. In queste pagine, inoltre, l’autore sfida Draghi (e i draghiani) proprio sul suo terreno, quello dell’economia.