La corsa alle armi, in Italia, sta per iniziare. Mario Draghi lo aveva anticipato nella sua informativa al Senato l’1 marzo spiegando che “la minaccia portata oggi dalla Russia è una spinta a investire nella difesa più di quanto abbiamo mai fatto finora”. E da ieri c’è anche il timbro ufficiale del Parlamento e del governo. La Camera a larga maggioranza ha approvato un ordine del giorno al decreto Ucraina che impegna l’esecutivo a incrementare le spese militari fino al 2% del Pil (oggi siamo all’1,4%) con un aumento di oltre 10 miliardi l’anno. Si passerà, secondo i dati dell’Osservatorio Milex, da una spesa di 26 miliardi (68 milioni al giorno) a 38 miliardi annui (104 milioni al giorno). Come ha raccontato il Fatto, l’aumento delle spese militari dovrebbe iniziare già dal 2023 gradualmente fino ad arrivare a quota 38 miliardi nel 2027-2028.
A Bruxelles per una riunione dei ministri della Difesa della Nato, Lorenzo Guerini ribadisce “la volontà di continuare a supportare le forze armate ucraine nella resistenza eroica, con l’invio di materiale di armamento”. Guerini può offrire all’Alleanza Atlantica le missioni “in via di valutazione” nel sud est della Nato. Ungheria e Bulgaria, in primis. Si partirà dall’Ungheria, dove il ministro è andato a stringere accordi la settimana scorsa. Luigi Di Maio, viceversa, in un’informativa alla Camera ha riportato la cifra di 500 milioni di euro, come “strumento europeo per la pace”, per la fornitura a Kiev di “equipaggiamenti letali e non letali”. Da notare che il titolare della Farnesina era stato prima di intervenire a tutto tondo sulla crisi ucraina (dal dossier energia alle questioni diplomatiche) a colloquio a Palazzo Chigi con Mario Draghi: il premier continua a mandare avanti il ministro degli Esteri. Mentre gestisce in prima persona i dossier economici e si ritaglia il ruolo di rappresentare gli interessi dell’Italia in Europa.
In ogni modo, l’odg di ieri è stato presentato dalla Lega a prima firma Roberto Ferrari, capogruppo del Carroccio in commissione Difesa, ma è stato sottoscritto da tutti i colleghi delle altre forze di maggioranza più Fratelli d’Italia. Il governo, per voce del sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè, ha dato parere favorevole ma il leghista Ferrari ha chiesto lo stesso il voto dell’assemblea per certificare l’unità del Parlamento: alla fine l’odg è passato a larga maggioranza con 391 i “sì”, 19 “no”. Anche il M5S, che del taglio alle spese militari aveva fatto uno dei cavalli di battaglia, ha ha votato a favore. Gli unici contrari, invece, sono stati i deputati di “Alternativa” (gli ex M5S) e Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana mentre quelli di LeU si sono astenuti. L’ordine del giorno della Lega chiedeva di alzare la spesa al 2% del Pil per “raggiungere un obiettivo che il nostro Paese si era dato, aderendo alle conclusioni del vertice dell’Alleanza atlantica nel 2014 in Galles”. Poi i deputati si dolgono del fatto che nelle ultime leggi di Bilancio ci siano stati dei tagli al settore della Difesa (tranne nell’ultimo del 22): “In questi anni la spesa per la Difesa ha subìto una costante contrazione che, nell’ultimo esercizio finanziario, ha finalmente visto una inversione di tendenza”.
Nel M5S è Gianluca Aresta a prendere le difese del “sì” spiegando che è stato in un’ottica di difesa europea: “Il 2% riguarda anche la spesa per il personale e le infrastrutture – spiega – oggi il M5S è maturato: siamo una forza di governo consapevole”. Posizione però che non trova d’accordo tutti nel M5S: “Sarebbe opportuno investire di più in energie rinnovabili, sanità e istruzione – dice il senatore Gianluca Ferrara – questo ci chiedono i cittadini”. Oggi, nel voto finale, si annunciano una decina di defezioni tra i 5S. Tra gli odg discussi ieri c’è stato anche quello di Christian Romaniello (ex 5S) che chiedeva al governo di vigilare sull’uso dei contractor per trasportare le armi italiane. Ma il governo ha dato parere contrario: Mulè ha bollato l’uso di mercenari come “ipotesi dell’irrealtà”. Bocciata anche la proposta di FdI di ricostruire gli arsenali militari.