Nel 1939 a Hitler bastarono 28 giorni – tanti ne sono passati dacché Putin ha mosso guerra all’Ucraina – per portare a termine l’invasione della Polonia. Certo non incontrò una strenua resistenza militare, sostenuta da vasto consenso popolare, come quella con cui devono misurarsi oggi le armate russe. Senza dimenticare che la Germania nazista poté contare sull’ignobile patto stipulato con l’Urss, che a sua volta aveva invaso la Polonia dal fronte orientale. Non sappiamo come sarebbe finita la Seconda guerra mondiale se, meno di due anni dopo, Hitler non avesse compiuto l’errore fatale di tradire quel patto, spingendo Stalin ad allearsi con le potenze occidentali e trasformandolo nel suo peggior nemico.
Non intendo paragonare il 1939 al 2022, ma solo ricordarci che le guerre hanno sviluppi imprevedibili e che, quando si cammina sull’orlo dell’abisso, le alleanze fanno in fretta a capovolgersi. Domani il presidente americano Joe Biden parteciperà a un Consiglio Europeo e così, all’apparenza, il blocco occidentale si presenterà compatto contro la Russia. Sembra passato molto tempo dacché Macron dichiarò la “morte cerebrale” della Nato, ma era solo ieri. Finora la Nato ha resistito alle sollecitazioni di Polonia e paesi baltici che ne invocano un coinvolgimento diretto nel conflitto ucraino, ciò che – più comprensibilmente, per disperazione – gli ha chiesto anche Zelensky (ieri, per la verità, apparso più cauto nel suo discorso al Parlamento italiano).
Nessuno può escludere un incidente o una provocazione dalle conseguenze devastanti. E nessuno può escludere che di fronte alla riproposizione di un falso bipolarismo fra superpotenze – Usa e Russia – che in quanto tali non esistono più, assisteremmo a defezioni e scomposizioni di alleanze tutt’altro che omogenee. Basti pensare alle iniziative svincolate di Turchia e Israele, all’ambiguità sfoggiata dalle petromonarchie del Golfo, all’incognita cinese, alla presa di distanze indiana e al minaccioso attendismo dell’Iran, pronto ad approfittare dell’instabilità mondiale.
In un mondo non più bipolare, bensì multipolare, il ripristino di equilibri pacifici sarà maledettamente complicato. Anche il recente disastro afghano viene a rammentarci che la Nato non può più essere il gendarme in grado di imporre la sua supremazia. Più drammaticamente ancora che di fronte alla pandemia, l’Unione europea viene chiamata a sciogliere il nodo della sua integrazione politica e della sua convivenza con vicini scomodi. Per quanto Borrell e i leader degli Stati membri si sforzino di rassicurare gli Usa circa la propria fedeltà atlantica, è chiaro che il progetto di Corpo di Difesa europeo è cosa diversa da un serrate le file della Nato. Non tutti i paesi dell’Ue fanno parte di quel blocco militare. La stessa Ucraina, quando, auspicabilmente, diventasse membro dell’Unione, dovrebbe mantenervi uno status di neutralità, nell’interesse di tutti.
Fino al mese scorso, nessun paese europeo aveva messo nel conto una guerra con la Russia. Tuttora Germania, Italia, Olanda e Ungheria si oppongono a un embargo sui rifornimenti energetici russi. Putin è al potere da 23 anni e tutti i leader che ora, giustamente, lo definiscono criminale sono stati ritratti sorridenti al suo fianco nei vertici bilaterali e al G8. Putin è il nuovo Hitler? Non esistono, tanto per intenderci, fotografie di Roosvelt e Churchill di fianco a Hitler, ma ahimè solo al fianco di Mussolini. Le accuse di equidistanza rivolte a chi si sforza di delineare un futuro pacifico con quel grande paese europeo che è la Russia sono ipocrite. Oggi le nazioni democratiche non possono che sostenere con tutti i mezzi, anche militari, la resistenza ucraina. È una priorità assoluta, così come l’accoglienza dei profughi. Ma tale sostegno non può che mirare a un accordo diplomatico che comprenda Mosca e le assegni un ruolo nella nuova Europa, unica via pacifica in grado di scongiurare i colpi di coda espansionistici di una potenza fragile, e proprio per questo pericolosa.
L’aumento delle spese militari dei singoli Stati europei è un riflesso pavloviano, un ritorno al passato che nulla ha a che fare con l’urgenza di sostenere la resistenza ucraina. Non è certo la soluzione in grado di ristabilire sicurezza nel vecchio continente. Al contrario, è ovvio che la costituzione di un esercito comune europeo fra i molti vantaggi avrebbe pure quello di consentire risparmi, integrando e razionalizzando gli apparati militari dei singoli Stati. Papa Francesco ha ragione da vendere quando denuncia che si tratta di un vero e proprio “scandalo”. Il riarmo porta alla guerra, non alla pace, e peggiora un mondo già consumato, squilibrato, perfino minacciato nella sua sopravvivenza. L’unico modo di reagire alla catastrofe incombente è dare vita a una potenza europea autonoma, democratica, responsabile e lungimirante.