A tre anni dal primo sciopero globale per il clima, Fridays for Future torna a manifestare l’urgenza di contrastare la crisi climatica in migliaia di città, d’Italia e del mondo.
Nel mezzo di una guerra che sta scuotendo l’Europa e di una crisi energetica e inflattiva pagata da una classe lavoratrice schiacciata dal crollo dei salari reali, è sempre più definito anche il rischio di arresto della transizione ecologica. Un percorso che ancora stentava a partire negli scorsi mesi, arenato tra la tassonomia europea delle fonti rinnovabili, che ha tra esse compreso anche gas e nucleare, e il fuorviante dibattito sulle tecniche di cattura e stoccaggio della CO2, proposte come strumento di auto conservazione dalle grandi multinazionali del fossile.
L’urgenza di tale azione è stata infatti ribadita anche dall’ultimo report dell’IPCC, il foro scientifico dell’ONU sul cambiamento climatico, la cui seconda parte su mitigazione e adattamento è stata pubblicata il 28 febbraio scorso. Un report definito dal Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres “un atlante della sofferenza umana e un’accusa schiacciante nei confronti delle leadership sull’azione climatica”.
Per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 a livello globale, la Ue dovrebbe azzerare le proprie emissioni, in quanto continente più sviluppato di altri, almeno entro il 2030, ma entro tale data si è posta come obiettivo la riduzione del solo 55%. Tale mancata riduzione impedirà di rispettare gli impegni presi con gli Accordi di Parigi del 2015, di restare quindi sotto 2°C (e possibilmente 1,5°C) di aumento della temperatura media globale rispetto all’età pre-industriale entro fine secolo. Le stime più recenti, anche quelle della prima parte dell’ultimo report IPCC, si attestano infatti su previsioni che superano i 3°C, ritenendo poco probabile, a meno di una immediata e drastica riduzione delle emissioni, il rispetto dei limiti di Parigi.
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Riemerge inoltre insieme alla crisi energetica la responsabilità dei governi europei di non aver differenziato le fonti energetiche e di aver considerato e considerare tuttora il gas (purché non russo) una fonte di transizione. In alternativa il carbone, come si è detto in queste settimane, dimenticando ad esempio che l’80% del carbone da vapore importato dall’Italia proviene anch’esso dalla Russia. L’unica strada invece per riacquisire sovranità energetica e al contempo accelerare la transizione ecologica è quella delle energie rinnovabili. Senza neppure lasciare al gas lo spazio del capacity market, futile pretesto di legittimazione delle fonti fossili a partire dall’instabilità delle rinnovabili, facilmente risolvibile con sistemi di accumulo anche idrici.
È centrale inoltre in questo sciopero la convergenza con la manifestazione nazionale degli operai della GKN che si terrà sabato a Firenze. Il caso della GKN di Campi Bisenzio è infatti emblematico della crisi che vede lo Stato incapace di garantire a monte l’utilità sociale dell’iniziativa economica privata, opponendosi a speculazioni finanziarie su attività produttive; e in cui però lo stesso Stato potrebbe intervenire a valle nel gestire la fase di transizione di una produzione, quella di semiassi e componentistica per automobili, destinata, nonostante la transizione all’elettrico, ad una necessaria compressione, onde evitare una nuova perniciosa motorizzazione di massa (un’auto elettrica per ogni vecchia auto a combustione interna). È proprio questo spazio di azione che ha portato gli stessi operai della fabbrica a riflettere sulla propria produzione e a sviluppare insieme ad un gruppo di ricercatori universitari il progetto di un polo pubblico della mobilità sostenibile, volto a salvaguardare da un lato la filiera dell’automotive, d’altro lato indirizzandola verso la produzione di mezzi di trasporto pubblico, elettrici o a idrogeno, che permettano di contrastare il ricorso all’auto privata, che è la fonte della maggior parte delle emissioni proprio a causa del ricorso ad essa per spostamenti inferiori ai 10 km.
Tale convergenza, che si è realizzata oggi con la presenza dei lavoratori GKN in decine di piazze e che si completerà nella manifestazione di Firenze, pone l’attenzione anche sulla questione salariale e della precarietà del lavoro perché, come dichiarato nel comunicato congiunto con il Consiglio di fabbrica, “non è possibile portare avanti una vera transizione climatica mentre milioni di persone sono concentrate sulla propria sopravvivenza economica, sono sotto ricatto lavorativo o non hanno alcun orizzonte se non lottare per il proprio contratto in scadenza”. Non permetteremo quindi mai più di giustificare delocalizzazioni, licenziamenti, precariato con la scusa della crisi climatica, come avvenuto anche nel luglio scorso dopo l’annuncio della delocalizzazione dello stabilimento. Né permetteremo di giustificare con la difesa dei posti di lavoro un rallentamento o una deviazione nella transizione ecologica e climatica.
#PeopleNotProfit: le persone e non il profitto, è il manifesto dello sciopero globale per il clima.
Non è un orpello vuoto di significato, bensì la sintesi di una densa nozione della crisi climatica e delle sue soluzioni. Non le uniche possibili, ma le più giuste, tra le molte socialmente inaccettabili che all’orizzonte si prospettano. La coscienza della distanza che separa il diritto alla vita dal diritto a vivere. Il diritto alla vita che chiede allo Stato un comportamento negativo: non uccidere. Il diritto a vivere, che invece pretende dal potere pubblico un comportamento positivo, una politica economica redistributiva, un intervento volto a sostenere tutti coloro che soffrono per una mai risolta questione sociale, e oggi anche ambientale, interna ai propri paesi, o per quella che su più larga scala coinvolge il rapporto Nord-Sud del mondo. Perché la vita vada oltre la mera sopravvivenza materiale e perché il genere umano possa avere un futuro.
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