Salvate il soldato Orsini. Il professore (collaboratore del Fatto) contrario all’invio delle armi in Ucraina è diventato il bersaglio preferito degli opinionisti che sostengono le scelte della Nato e del governo Draghi. Nei talk, giornalisti come Paolo Mieli, Mario Calabresi e David Parenzo, e i direttori dei think tank, come Paolo Magri dell’ISPI o Nathalie Tocci dello IAI, lo trattano come una quinta colonna di Putin.
Nathalie Tocci su La Stampa lo squalifica così (senza nominarlo) dopo un duello a Piazzapulita: “Ci sono competenze che sono poco attinenti alla questione. In che modo le valutazioni di un teorico della fisica (Carlo Rovelli?, ndr), di un filologo (Luciano Canfora?, ndr) o di un sociologo del terrorismo (Orsini?, ndr) aiutano a formare una posizione informata sulla guerra in Ucraina?”. E ancora: “Nel nome della libertà di opinione, e quindi della democrazia, si dà spazio alla opinione slegata dalla competenza, aprendo – consciamente o inconsciamente – alla disinformazione e alla propaganda. E infliggendo un colpo letale alla democrazia stessa”. Bum.
L’argomento dell’incompetenza, usato come uno sfollagente per escludere dai talk show gli intellettuali scomodi, non ha senso. Se a suggerire il compromesso con Hitler a Chamberlain nel 1938 fosse stato un esperto di geopolitica, quella scelta sarebbe divenuta più previdente? Se a suggerire a Churchill un approccio duro con la Germania fosse stato un sociologo del terrorismo, cosa sarebbe cambiato? Non stiamo parlando di vaccini o ingegneria, ma di guerra. Quel che conta è la capacità di analizzare e prevedere i fenomeni politici e militari con onestà intellettuale e competenza, non il titolo. Orsini sarà pure professore associato di Sociologia (in realtà dirige anche l’Osservatorio di Sicurezza Internazionale della Luiss) ma ha un titolo ‘di fatto’: ci ha messo in guardia su Putin prima di tanti esperti di geopolitica.
Il professore (filo Putin, secondo i critici) nel 2018, in un’audizione al Senato disponibile su Youtube, sosteneva che bisognava mantenere le sanzioni contro la Russia. La cosa più interessante però di quell’intervento non erano le conclusioni, ma l’analisi. Per Orsini la Russia era un animale ferito dalle mosse degli Stati Uniti in Siria, Iraq e Ucraina. Nel 2018 Putin – sempre per Orsini – considerava l’opzione dell’invasione dell’Ucraina, ma non aveva ancora deciso. Stava saggiando la capacità di reazione dell’Occidente e probabilmente in futuro avrebbe potuto decidere di sfondare le linee in Ucraina o sul fronte baltico. Ebbene, non abbiamo trovato in Rete un’analisi così netta e realista da parte dei tanti che oggi lo trattano con sufficienza.
Quel che conta alla fine è la capacità di formulare un’analisi corretta, obiettiva, fredda, magari sgradevole per il governo e l’opinione pubblica, ma utile. L’analista descrive, non prescrive. L’importante è che fornisca, possibilmente in anticipo, gli elementi necessari ai cittadini e ai politici per deliberare. Ecco perché, anche se come ho già scritto condivido le conclusioni di Tocci (sono favorevole alle armi agli ucraini), ritengo interessante l’analisi scomoda di Orsini almeno quanto quelle più ortodosse. Nessuno ha la verità in tasca in una materia così delicata.
Infine c’è un tema che deve essere accennato senza moralismi ma anche senza ipocrisie: i think tank ricevono contributi in varie forme dal governo, dalle amministrazioni pubbliche e dalle società controllate come Leonardo o Eni, società questa della quale Tocci è consigliere.
Certamente lo IAI è un ente autorevole che sforna studi importanti e la direttrice pensa le cose che dice in tv. Però è lecito domandarsi cosa accadrebbe se i vertici di IAI e ISPI decidessero improvvisamente di dare torto in tv alla Nato e a Draghi sulle armi all’Ucraina.
La ‘censura’ di Orsini per le sue idee da parte della Luiss, università autonoma ma fondata da Confindustria, non è un buon segno.