Da ormai più di un mese l’Ucraina è teatro di guerra. L’invasione da parte della Russia ha scosso i nostri cuori e le nostre coscienze. L’appello alla pace e ai negoziati è arrivato da ogni parte. Purtroppo, le bombe non hanno smesso di cadere, tanto da compromettere anche l’evacuazione dei civili. Ad essere chiamato in causa è il mondo intero, stretto tra la morsa della crisi delle materie prime, quella energetica e la ferma condanna alla guerra. Senza alcun dubbio, la priorità assoluta deve essere il cessate il fuoco senza se e senza ma e un incessante lavoro finalizzato a garantire la pace. La complessa congiuntura contemporanea, però, ci obbliga a dover fare i conti con un sistema di approvvigionamento di risorse che ci mette in seria difficoltà. Una sfida che si aggiunge a quella climatica e alle conseguenze legate alla pandemia ed alla crisi sanitaria. Nel frattempo le sanzioni imposte alla Russia ,nel tentativo di mettere a dura prova l’economia del paese , stanno facendo sentire il loro peso anche in Europa. Tra i Paesi più colpiti dalle crisi in atto c’è anche l’Italia. In queste settimane, il governo è costretto a dover mettere in campo misure finalizzate a fare fronte alle necessità del Paese, ma rimane di fondamentale importanza non scendere a compromessi su battaglie cruciali come quella ambientale, in maniera particolare per ciò che concerne l’energia. A tal proposito, è importante chiarire un concetto: ridurre la dipendenza dal gas, a maggior ragione in questo contesto e non prefigurare scenari assurdi, rivolti al carbone o, peggio ancora, al nucleare e spingere fortemente, invece, sullo sviluppo delle rinnovabili, del fotovoltaico e dell’eolico, facilitando le procedure delle autorizzazioni degli impianti e pianificando un incremento esponenziale del settore, è l’unica strada possibile. Solo in questo modo riusciremo a renderci più indipendenti rispetto alle congiunture internazionali, favorire al tempo stesso processi di Pace , oltre che davvero in grado di rispondere alla crisi energetica e di affrontare la sfida climatica.
Non solo gas e petrolio
In questo ragionamento, non possiamo non fare cenno al fatto che tra le criticità in primo piano nelle agende dei decisori politici c’è anche l’agricoltura. Basta pensare che Ucraina e Russia coprono il 30% del commercio globale di grano tenero, il 32% di orzo, il 17% di mais, oltre il 50% di olio di girasole il 15% di fertilizzanti azotati e potassici. L’aumento dei prezzi – dovuto anche ad evidenti fenomeni speculativi – e la carenza di materie prime, rischiano non solo di mettere in grave difficoltà le nostre filiere agroalimentari, ma anche di stravolgere gli ambiziosi e ancora non raggiunti obiettivi attraverso i quali dare davvero avvio alla transizione ecologica in questo settore. È inutile ripeterlo: il green Deal in ambito agricolo va di pari passo anche con la necessità di raggiungere una piena sostenibilità economica da parte di tutto il comparto, evitando di far ricadere sugli agricoltori – l’anello più debole della catena -, oltre che sui consumatori, i drammatici costi della crisi che stiamo attraversando
Anche il dibattito sulle questioni agricole, pertanto, rischia di polarizzarsi, tanto da non riuscire a trovare soluzioni che tengano conto in maniera prioritaria della necessità di continuare, nonostante le gravi difficoltà, a contrastare la sfida climatica e ambientale, che deve rimanere un focus irrinunciabile . Le recenti notizie circa la siccità che sta mordendo in modo particolare il centro-nord del nostro Paese, con una carenza di acqua che sta raggiungendo i minimi storici, mettendo in grave difficoltà il comparto agricolo (si stanno irrigando grano e vigneti), non lascia spazio a dubbi. La crisi ambientale è in atto e arrestare il processo di transizione ecologica porterebbe con sé conseguenze drammatiche già nel breve periodo. Il governo e le istituzioni europee non possono e non devono fare neanche un passo indietro rispetto ai goal previsti dalle strategie Farm to fork e Biodiversità 2030, ma anche rispetto agli obiettivi in ambito ecologico previsti dalla nuova PAC. La significativa riduzione degli input chimici, idrici ed energetici del settore, insieme al contrasto alla perdita di biodiversità ed al necessario incremento della sostanza organica, per arrestare i processi di desertificazione, devono rappresentare priorità irrinunciabili . Tutto questo è infatti strategico per ridurre l’impatto delle pratiche agricole e in particolare zootecniche ( responsabili dei due terzi delle emissioni del settore) su clima e ambiente e rendere, al tempo stesso, i sistemi agroalimentari più resilienti e meno vulnerabili. Come, del resto, lo devono essere i sostegni di natura economica agli operatori che hanno già fatto della transizione una realtà. Incentivi e meccanismi premianti devono continuare ad essere una costante dell’azione politica. Disincentivare le filiere inquinanti ed estremamente dannose per gli ecosistemi, significa mettere in atto processi positivi di concreta resilienza dal campo alla tavola, attualmente già messi a dura prova.
Le fantasiose ipotesi di spalancare le porte a mais proveniente da aree in cui vengono coltivate varietà di Ogm o con limiti per i pesticidi molto meno stringenti rispetto a quelli europei dovrebbero essere messe nel cassetto, come anche l’alternativa di ricorrere all’olio di palma, con i disastrosi effetti che questo comporta – esempio tra tutti la deforestazione – per la mancanza dell’olio di girasole proveniente dall’Ucraina. Questo non è il momento di perdere la bussola. Servono fermezza e lungimiranza di pensiero e serve stringere i denti e restare sulla strada giusta, quella della sostenibilità ambientale , che rappresenta indiscutibilmente l’altra faccia della crisi energetica ed economica che stiamo attraversando.
Occorre inoltre stare alla larga dalle logiche della massimizzazione delle rese agricole e rivedere invece i modelli di produzione e consumo di cibo in una nuova chiave, mettendo al centro una forte attenzione alla riduzione della dipendenza dalle energie fossili, alla sicurezza alimentare, alle pratiche estensive in ambito agricolo, al benessere animale e alla riduzione dei carichi emissivi in ambito zootecnico, oltre a una dieta che riduca il consumo di carne. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il 70% dei terreni agricoli europei è destinato all’alimentazione animale. A questo si sommano le importazioni di mangimi e foraggi, causa di gravi fenomeni di deforestazione. Sotto questo profilo, occorre sostenere il comparto in difficoltà, allo scopo di evitare l’aggravarsi della situazione, non puntando su una logica produttivistica ma sulla qualità e la sostenibilità, abbassando gli input negativi, valorizzando il made in Italy in chiave sostenibile e puntando su settori come il biologico, enormemente cresciuto negli ultimi anni e in grado di divenire apripista di tutto il comparto in ottica sia di competitività che di innovazione dal punto di vista agroecologico.
La recente risoluzione della commissione europea per far fronte alle conseguenze della guerra in Ucraina che prevede finanziamenti al settore dando il via libera alla coltivazione dei terreni agricoli ,dei pascoli e delle aree ecologiche a riposo per la produzione di cereali e colture proteiche, introducendo un contributo flat ex novo per tutte le superfici agricole utilizzate, contrasta, di fatto, con la necessità di preservare la biodiversità naturale, assorbire emissioni di gas serra, rispondere ai cambiamenti climatici, rigenerare i suoli e ridurre l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi. In tal modo si favorisce, con la scusa dell’emergenza, un modello agricolo intensivo ed impattante che non segue la direzione giusta. A ciò si aggiunge il fatto che l’Unione europea ha deciso di rimandare senza una data precisa la presentazione del regolamento sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e di posticipare o rivedere i piani strategici nazionali, ragionando solo in termini di sospensione delle misure che limitano la produzione e rivedendo in tal modo i target fondamentali delle strategie europee farm to fork e biodiversità. Occorrerebbe una pianificazione che consenta di mettere a fuoco le emergenze – tutte – che ci stanno con il fiato sul collo e adottare una strategia capace di tenere insieme sostenibilità ambientale, sociale ed economica. In questo modo, invece, non si risponde alla crisi in modo lungimirante e si rischia di rendere la nostra agricoltura ancora più dipendente da input esterni ed emergenze economiche ed energetiche, con tutte le conseguenze che ciò comporta per la nostra salute e per quella del Pianeta.