Può essere che non ne parlino perché non ci pensano e allora sarebbe giusto definirli incoscienti. Oppure può essere che ci pensino troppo e che credano di esorcizzare rischi e paure semplicemente tacendo. Comunque stiano le cose, il risultato non cambia: la possibilità di un conflitto nucleare, definita nelle scorse settimane dagli esperti bassa, ma in costante aumento, in Italia non è oggetto di un vero dibattito.
Si discute giustamente, e molto, delle atrocità e dei massacri di Bucha e di altre città ucraine, si parla di sanzioni più dure e di invio alla resistenza ucraina di altre e sempre più potenti armi, ma su cosa potrebbe fare un Putin messo definitivamente nell’angolo – dal punto di vista militare ed economico – tutti, o quasi, preferiscono glissare. Eppure la questione che deve preoccupare è questa.
Quando la Russia aggredì l’Ucraina tutti erano certi che “l’operazione speciale” dichiarata dall’autocrate di Mosca fosse destinata ad avere in tempi brevi successo. Gli Stati Uniti, subito dopo l’invasione, avevano offerto al coraggioso presidente Volodymyr Zelensky la possibilità di espatriare. Segno che consideravano scontato che la capitale Kiev sarebbe prima o poi caduta.
Le cose fin qui sono andate in tutt’altro modo. Le truppe ucraine, abbondantemente armate e addestrate dagli Usa nei mesi precedenti, hanno resistito e persino contrattaccato. La gran parte dei cittadini si è dimostrata pronta a morire pur di difendere la patria. A poco a poco è così cambiata anche l’idea iniziale dell’Occidente. Qualche settimana fa, i Paesi Ue fornivano armi perché immaginavano di rallentare l’avanzata russa e di costringere Putin a prendere atto che, dopo la sua vittoria, si sarebbe trovato a dover fronteggiare una guerriglia in stile afghano. In questo modo, si diceva, Putin sarebbe stato costretto a trattare e sia lui che gli ucraini avrebbero accettato una pace basata semplicemente sul riconoscimento delle repubbliche del Donbass, dell’annessione della Crimea e la neutralità dell’Ucraina.
Ora in tanti cominciano invece a pensare, non sappiamo se a torto o a ragione, che i russi possano essere addirittura respinti. Gli ucraini lo dicono a gran voce. Alcuni osservatori occidentali pure. Mentre Londra e Washington, forse più realisticamente, parlano di una guerra destinata a proseguire per mesi o addirittura anni. Le conseguenze di un eventuale conflitto di lunga durata per Europa e Russia sono evidenti: enorme recessione e disoccupazione. Un’eventualità forse gestibile da Mosca, molto meno dalle nostre democrazie, i cui governi dovono affrontare l’opinione pubblica e il voto. Se invece davvero gli ucraini, come col cuore anche noi auspichiamo, si rivelassero in grado di scacciare gli aggressori in questo già tetro scenario fatto di massacri e carestie, se ne aggiungerebbe un altro: l’umiliazione di Putin e della Russia.
E qui sorge il problema: Mosca possiede circa 2000 testate nucleari tattiche che, a differenza di quelle strategiche, sono state pensate per essere utilizzate in battaglia. Si tratta di piccolissime atomiche che distruggono tutto nel raggio di un chilometro, un chilometro e mezzo, inquinano l’ambiente, ma da sole non portano alla fine del mondo. Lanciarne una, magari dietro le linee, significa dire: arrendetevi o la prossima sarà su una città. In tanti dicono che Putin non lo farebbe mai perché teme la reazione della Nato, anche se l’Ucraina non è parte dell’alleanza. Ma in tanti dicevano pure che non avrebbe mai invaso l’Ucraina. Poi lo ha fatto. Forse, prima che sia troppo tardi, sarebbe il caso di parlarne.