In occasione della pubblicazione della terza parte del sesto rapporto del Gruppo internazionale di studio sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (International Panel on Climate Change), il gruppo di Scientist Rebellion (Ribellione degli scienziati) ha indetto una settimana internazionale di disobbedienza civile dal 4 al 9 aprile. Con più di mille tra ricercatori, professori universitari e cittadini coinvolti in proteste ed eventi pubblici di informazione scientifica in 25 Paesi, questa è la più grande mobilitazione di accademici sul tema del cambiamento climatico mai verificatasi.
Il Rapporto mostra come le emissioni delle infrastrutture energetiche fossili attuali costituiscono già più del doppio della quantità che spingerebbe il pianeta oltre 1.5°C di riscaldamento globale. Eccedere tale livello comporta cambiamenti irreversibili, come l’inarrestabile scioglimento dei ghiacci al Polo Nord e Sud con un aumento del livello dei mari di almeno 10m. Tale livello di riscaldamento condurrà all’aggravamento dei fenomeni meteorologici estremi già osservati recentemente in diverse parti del mondo: temperature record, incendi, tempeste, inondazioni e siccità molto più intense rispetto al presente. Il Rapporto non lascia spazio a dubbi: siamo di fronte a un’emergenza che necessita di risposte urgenti da parte del mondo politico.
In Italia, scienziati, ricercatori, studenti e cittadini appartenenti a Scientist Rebellion ed Extinction Rebellion hanno compiuto significative azioni di protesta il 6 aprile a Venezia, Torino e Roma. A Venezia l’obiettivo della mobilitazione è stata la bio-raffineria Eni di Porto Marghera. Alle 7 della mattina, sei attivisti si sono incatenati all’ingresso dello stabilimento, ostruendo l’accesso di automobili e camion, mentre altri attaccavano poster e articoli scientifici sui muri che descrivono l’emergenza climatica.
I ricercatori hanno evidenziato come Eni si impegni alla riduzione dell’80% delle proprie emissioni di gas serra entro il 2050 ma offra informazioni insufficienti su come raggiungere tale obiettivo. Il dato invece chiaro è che entro il 2025 Eni prevede di investire 10 volte tanto nell’energia fossile (per una somma di €24 miliardi) rispetto alle energie rinnovabili (che arrivano a una somma di soli €2.6 miliardi). Come ha detto Serena Casanova, attivista e PhD in nanotecnologie: “É come se un alcolizzato vi dicesse che nei prossimi tre anni aumenterà il suo consumo di alcolici ma che nel 2050 sarà completamente sobrio. Voi gli credereste?”. Gli scienziati hanno richiesto un incontro pubblico con i vertici dell’azienda. Dopo 10 ore di blocco dell’ingresso, l’amministratore delegato di Eni a Roma ha rifiutato l’incontro.
In contemporanea a Roma si è svolta un’azione di protesta contro i finanziamenti di Eni e Leonardo (produttrice di tecnologia usata in armamenti militari) all’Università La Sapienza. Studenti e ricercatori si sono incatenati a un ingresso interno dell’università, stendendosi per terra ed esibendo cartelli di protesta. L’università ha subito ordinato la rimozione forzata dei quattro attivisti da parte della polizia, e li ha denunciati per interruzione di pubblico servizio (un reato che è punibile con 7 anni di carcere e 3.000 euro di ammenda), nonostante i manifestanti non ostruissero il passaggio. Gli attivisti sono stati portati in questura e trattenuti per quasi 8 ore. Anche a Torino si è svolta un’azione di ricercatori, che hanno attaccato estratti del Rapporto Ipcc alla vetrata del Palazzo della Regione Piemonte, in protesta ai piani regionali di investimento nel nucleare, termovalorizzatori ed automobili a combustione interna.
Come ha detto Gianluca Grimalda, ricercatore in psicologia sociale del cambiamento climatico, “il ricorso alla disobbedienza civile non-violenta è un atto estremo causato dalla disperazione per la mancanza di provvedimenti seri circa l’incombente catastrofe ambientale”. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha recentemente dichiarato che “gli attivisti per il clima sono talvolta descritti come pericolosi radicali, ma i radicali veramente pericolosi sono i Paesi che stanno aumentando la produzione di combustibili fossili”.
Oltre a queste azioni in Italia, si sono svolte decine di azioni a livello globale a Madrid, l’Aia, Washington DC, Los Angeles, Quito, Berlino, Sydney, Copenhagen, Bogotà e Città del Messico. Di fronte all’aggravamento della crisi climatica e la negligenza dei leader mondiali, è certo che queste manifestazioni non saranno le ultime.