Sin dalle prime ore del conflitto, l’Unità di Emergenza della LAV si è immediatamente attivata per supportare gli animali coinvolti, sia in Italia che lungo i confini con l’Ucraina (Ungheria, Slovacchia e Polonia) in due diverse missioni. Dall’inizio delle attività la LAV ha spedito oltre 7.000 kg di cibo, per un totale di 28.000 pasti. 45 cani sono stati trasportati dall’Ucraina in Italia. In Italia, grazie al lavoro di 22 sedi locali attive su tutto il territorio nazionale, sono stati assistiti 71 animali (51 cani e 20 gatti) arrivati con le loro famiglie, cui sono stati distribuiti kit di prima accoglienza (cibo, accessori per animali, antiparassitari, farmaci se prescritti), e fornita assistenza per la regolarizzazione veterinaria, informazioni e trasporto presso le cliniche veterinarie.
Da pochi giorni sono tornata dalla Polonia, al confine con l’Ucraina, quel paese che da settimane è sotto gli occhi di tutto il mondo perché scenario di una terribile guerra. Ero lì con l’Unità di Emergenza della LAV, che dall’inizio del conflitto è in prima linea nel portare supporto a tanti animali coinvolti, quelli che fuggono dal paese con le loro famiglie, così come quelli evacuati dai rifugi e canili presenti nel paese e stretti nella morsa della guerra. Tutti questi animali hanno una cosa in comune: sono le vittime più silenziose di un conflitto insensato che non hanno scelto.
A Corzowa ho visto con i miei occhi gli effetti che tutto questo sta avendo su di loro e anche sulle loro famiglie: ho visto Valentina, una signora anziana che ha attraversato il confine fra Ucraina e Polonia con Lucy, la sua gatta, nella borsa. Non aveva portato nulla con sé, se non la sua compagna di vita. Quando ha messo piede in un Paese sicuro, la prima richiesta di Valentina è stata un trasportino per la sua Lucy, perché potesse stare comoda.
A Medyka, punto di accesso per chi prosegue la sua fuga a piedi nel paese, ho visto Chip con la sua mamma umana, che ha ringraziato con le lacrime agli occhi le attiviste della LAV che donavano al suo beagle del cibo e qualche gioco. L’ho sentita sussurrare “Grazie, non ho altre parole, grazie”. Il lungo abbraccio tra lei e la nostra volontaria era denso di significato.
Nelle stazioni dei treni e negli hub di accoglienza, allestiti in grandi centri commerciali, ho visto decine di animali al fianco delle loro famiglie, dopo giorni di fuga e ore di attesa, ambedue smarriti, e ambedue in grado di farsi forza solo rimanendo uniti, solo rimanendo una famiglia.
Ho visto i primi cani sopravvissuti al canile di Borodyanka, dove oltre 300 animali sono morti di fame e di sete perché rimasti isolati. Ho visto i pochi superstiti a questo inferno correre felici, finalmente liberi, nel rifugio Centaurus, allestito da decine di volontari lungo il confine per fare fronte all’emergenza. Li ho visti iniziare una nuova vita lontana dalle bombe, dalla fame, dalla paura: li ho visti iniziare, finalmente, l’unica vita che dovrebbe essere possibile.
Ho visto Oreo, un cagnolino bianco e nero, anche lui sopravvissuto alla guerra. Mentre ci occupavamo di lui non riuscivo ad immaginare che un cane così vivace e affettuoso potesse aver conosciuto l’orrore della guerra, senza perdere un briciolo della sua dolcezza, e della sua fiducia negli esseri umani, nonostante sia stata proprio la furia dell’uomo a costringerlo a fuggire. E poi Jack, un cane sicuramente incompreso e difficile che ha trovato nel volontario che si prendeva cura di lui, insieme a noi, la sua nuova casa. Sono incontri casuali ma che in un momento diventano indissolubili, lunghi tutta una vita.
Ho visto i volontari da tutta Europa e da tutto il mondo (polacchi, danesi, spagnoli, inglesi, americani e tedeschi) rischiare la propria vita per attraversare quel confine e portare in salvo animali innocenti, abbandonare le loro comode vite per garantire agli animali coinvolti in questo conflitto salute, affetto, una vita lontana dalle bombe. Ho visto gli occhi di chi, umano e non, quel confine non è riuscito a superarlo.
Mi sono guardata intorno pensando che tutto questo non avesse alcun senso: eppure, so esattamente il senso del mio essere andata lì. Non permettere che queste storie restino inascoltate, e soprattutto poter dare a questi animali libertà, sicurezza, una vita felice: quello che ogni essere vivente merita.
Beatrice Rezzaghi è responsabile dell’Unità di Emergenza della Lega Anti Vivisezione (Lav)