Mai come in questi mesi, due parole solitamente associate a popoli e terre lontane da noi, come guerra e siccità, sono entrate nella nostra realtà, condizionando il presente e soprattutto il futuro della nostra agricoltura e alimentazione.
Da un lato, il blocco delle esportazioni dall’Ucraina per la tragica guerra in corso ha messo in allarme il settore alimentare, che rischia principalmente una minore disponibilità di mais per il settore zootecnico. Dall’altro, la situazione è aggravata dalla siccità in Italia, in particolare in alcune zone del Nord dove si concentra la produzione agricola e zootecnica.
Già a marzo, in Lombardia,Emilia Romagna,Veneto e Piemonte le riserve idriche erano molto al di sotto delle medie stagionali e le falde segnano ancora deficit preoccupanti. Le organizzazioni di categoria stimano danni all’agricoltura per un miliardo di euro, mentre circa il 20% del territorio italiano rischia di diventare incoltivabile a causa del progressivo inaridimento e impoverimento dei suoli.
L’agricoltura è infatti il settore che ha più bisogno di più acqua dolce e l’Italia è il secondo Paese europeo (dopo la Spagna) che fa più ricorso all’irrigazione per le proprie coltivazioni. La maggior parte della superficie irrigata si trova proprio nel Nord flagellato dalla siccità: le quattro Regioni padane totalizzano insieme il 58% del totale, con un 20% nella sola Lombardia.
Questo dipende dalle ampie estensioni di superficie coltivata, ma anche dal tipo di coltivazioni che si trovano in queste Regioni, come il mais, che hanno un elevato fabbisogno idrico. Ed è proprio sul mais che, oltre all’allarme guerra, suona l’allarme siccità: la Confederazione Italiana Agricoltori (CIA) avverte che la resa quest’anno potrebbe essere così bassa per via dei terreni aridi da rendere non conveniente la trebbiatura.
Il Presidente di Coldiretti sostiene che coltivando 200 mila ettari in più, ovvero i terreni finora lasciati a riposo, si potrebbe sopperire alle mancate importazioni dall’Ucraina. Ma il problema non è tanto ampliare le superfici coltivabili, quanto il fatto che la siccità mette a rischio le superfici già coltivate, senza contare che sacrificare i terreni a riposo rischia di compromettere la biodiversità e la salute delle aree agricole, come ha affermato la stessa Commissione Europea (qui il documento).
Allo stesso tempo, le grandi lobby agricole europee e italiane vorrebbero indebolire o ritardare gli obiettivi ambientali legati al Green Deal europeo – proprio mentre un evento climatico estremo come la siccità si mostra in tutta la sua potenza – per mantenere gli attuali livelli di produzione e consumo di carne, che la scienza da anni indica come eccessivi e insostenibili.
Aumentando la produzione e rinunciando alle tutele ambientali finiremmo per consumare ancora più acqua, alimentando la siccità e i cambiamenti climatici, anziché rendere la nostra agricoltura più resiliente e meno dipendente da input esterni. Greenpeace ha indicato una soluzione alternativa per sopperire le carenze determinate dalla guerra, insieme a un set di 7 richieste alla Commissione europea.
Secondo ISMEA, il settore zootecnico-mangimistico assorbe la gran parte della disponibilità di mais, mentre si stima che oltre la metà dei cereali utilizzati in Europa è destinato agli allevamenti. Tra le soluzioni più immediate c’è dunque quella di ridurre subito del 10% le consistenze zootecniche europee, per destinare una maggiore quantità di cereali al consumo umano e più terreni agricoli alla produzione di cibo, riducendo anche acqua e terreni utilizzati per coltivare mangimi.