La guerra alle porte di casa ci è già entrata in casa. Attraverso i tubi del gas e i cavi dell’energia. E ha già cambiato gli equilibri di potere anche nel nostro Paese.
Non so se vi siete accorti, ma abbiamo un nuovo super-ministro, che cura gli affari economici e gli affari esteri (la transizione ecologica è sempre stata di sua precipua competenza). Ed è di fatto più potente del presidente del Consiglio. È Claudio Descalzi, l’amministratore delegato di Eni, la compagnia petrolifera nazionale che ai tempi di Paolo Scaroni ci ha consegnato nelle mani di Putin e ora lo sta sostituendo con dittatori forse non migliori di lui.
Il 31 marzo 2022, Descalzi ha incontrato il presidente egiziano Al-Sisi, con cui “ha condiviso”, ci spiega una nota dell’Eni, “la visione dell’Egitto di diventare un hub regionale per il gas”, impegnandosi “a sostenere la produzione locale attraverso una ambiziosa campagna esplorativa e di sviluppo, che andrà anche a contribuire all’export”; e restituendo “all’Egitto il ruolo di esportatore netto” di gas. L’11 aprile, Descalzi è poi volato in Algeria e, con accanto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ha siglato un accordo con l’azienda di Stato algerina Sonatrach per una fornitura all’Italia di 9 miliardi di metri cubi di gas. Il 20 aprile è toccato al Congo: con accanto ancora Di Maio e il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, Descalzi ha discusso nuovi accordi sul gas con il dittatore di Brazzaville, Dénis Sassou Nguesso, grande amico di sua moglie, Maria Magdalena Ingoba detta Madò, già socia d’affari della figlia del dittatore (Mario Draghi quel giorno era strategicamente assente giustificato, causa Covid).
Chissà se sono fischiate le orecchie ai valutatori dell’Ocse, l’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico, che proprio in questi mesi stanno facendo gli esami all’Italia per verificare la sua capacità di contrastare efficacemente la corruzione internazionale: sui suoi rapporti d’affari in Algeria e Congo, Eni è già stata indagata dalla Procura di Milano, proprio per corruzione internazionale. Senza risultati, naturalmente, alla fine assolta. Sul Congo l’indagine è ancora in corso, con Descalzi nella scomoda posizione (se fossimo un Paese normale) di essere l’amministratore delegato di una azienda che ha affidato a società di sua moglie lavori in Africa per almeno 300 milioni di dollari.
Ma in questo quadro politico e geopolitico, con il numero uno di Eni diventato più potente di qualunque altro ministro italiano, non possiamo certo stupirci se ora nel palazzo di giustizia di Milano, dopo le assoluzioni, sta per arrivare una cosa mai vista prima: la Procura generale retta da Francesca Nanni sta abdicando al suo compito, che è quello di sostenere l’accusa nei processi d’appello, rinunciando a portare in aula, il prossimo 19 luglio, le prove raccolte dalla Procura di Milano in anni d’indagine sull’acquisizione da parte di Eni e Shell del campo d’esplorazione petrolifero Opl 245 in Nigeria. Descalzi è imputato di corruzione internazionale insieme a Scaroni e ad altri manager e intermediari, perché del miliardo e 300 milioni di dollari pagati da Eni e Shell per Opl 245 non un cent è restato nelle casse dello Stato nigeriano, ma l’intera somma è stata dispersa e divisa tra politici nigeriani, mediatori e manager.
In primo grado è arrivata una salvifica assoluzione generale. E per Eni e Descalzi basta un grado di giudizio. L’appello probabilmente neppure si farà. La sostituta pg Celestina Gravina non dovrà neanche leggere gli innumerevoli faldoni dell’accusa, perché probabilmente rinuncerà all’impugnazione in appello. Con buona pace dei valutatori internazionali dell’Ocse. I “campioni nazionali” non si toccano in tempo di pace. In tempo di guerra diventano eroi, un po’ come la brigata Azov.
AGGIORNAMENTO
Precisiamo che il Gip presso il Tribunale di Milano ha disposto l’archiviazione del procedimento nei confronti della signora Marie Magdalena Ingoba e di tutti gli altri indagati