Ho letto e riletto più volte l’intervento di Furio Colombo, ma francamente non sono riuscito a capire quando e dove avrei peccato così gravemente da mettere addirittura in pericolo la sua permanenza (“complicità”) al Fatto. Sorvolo sugli insulti alla mia persona e alla mia professionalità, ai quali mi sto lentamente e faticosamente abituando. E vado dritto ai fatti oggetto del contendere.
Colombo giudica falsa la mia affermazione secondo cui Hitler non aveva intenzione di scatenare la Seconda guerra mondiale quando invase la Polonia, il 1° settembre 1939. Proviamo a risolvere la controversia dando la parola a un uomo che conosce la storia meglio di noi tutti. Cito questo brano su Hitler dal capolavoro di B. H. Liddell Hart, Storia militare della Seconda guerra mondiale (Mondadori, pp. 6-25). Non soltanto Hart scrive che Hitler non voleva scatenare la Seconda guerra mondiale. Dice addirittura che aveva cercato di perseguire l’espansione della Germania evitando in tutti i modi un conflitto generalizzato: “L’ultima cosa che Hitler voleva – scrive Hart – era un’altra grande guerra. Il suo popolo, e specialmente i suoi generali, erano atterriti dall’idea di correre un simile rischio: le esperienze della Prima guerra mondiale avevano lasciato nell’animo dei tedeschi profonde cicatrici. (…) È indubbio che per lungo tempo Hitler perseguì i suoi obiettivi con grande cautela e ancora più cauti, e timorosi di prendere decisioni dalle quali potesse scaturire un conflitto generale, erano i capi militari. Gli archivi tedeschi, caduti in gran numero in mano alleata dopo la guerra e quindi accessibili allo studioso che desideri consultarli, rivelano l’esistenza di un diffuso e radicato senso di sfiducia nella capacità della Germania di combattere una guerra su vasta scala (…). Nel 1939 l’esercito tedesco non era pronto per una guerra: una guerra che i suoi capi, prestando fede alle reiterate assicurazioni di Hitler, non si aspettavano (…). Ma Hitler non si era stancato di ripetere che essi avrebbero avuto tempo in abbondanza per questo programma di formazione di quadri, dato che egli non aveva alcuna intenzione di correre il rischio di una guerra su vasta scala prima del 1944 (…). Come poté accadere, dunque, che Hitler si trovasse coinvolto in quella guerra di proporzioni mondiali che pure era stato così ansioso di evitare? La risposta deve essere cercata non tanto – o, almeno, non esclusivamente – nell’aggressività di Hitler, quanto piuttosto nel fatto che, dopo aver a lungo incoraggiato con il loro atteggiamento compiacente la politica tedesca, nella primavera del 1939 le potenze occidentali decisero improvvisamente di adottare una politica di rigida intransigenza. Un cambiamento di politica tanto brusco e imprevedibile da rendere inevitabile la guerra”.
Chiedo ai lettori: con tutti gli “amici” che mi sono fatto in questi ultimi tre mesi, non pensate che decine di storici mi sarebbero saltati addosso se avessi detto una falsità? A oggi, nessun professore universitario di Storia è intervenuto per smentirmi. Un presunto storico mi ha sì smentito sulle colonne di un quotidiano online, ma inventando una frase che non ho mai pronunciato, cioè che l’alleanza tra Francia, Inghilterra e Polonia è stata la responsabile dello scoppio della guerra. Peccato che non l’abbia mai detto e che non lo pensi affatto. Anzi, lo nego tenacemente: non credo che la colpa della Seconda guerra mondiale sia di quell’alleanza.
Nel mio intervento ad Accordi & disaccordi, non ho toccato la questione della responsabilità della Seconda guerra mondiale. Ben diversamente, mi sono interrogato sui meccanismi che hanno innescato quell’immane tragedia. Per capirmi, bisogna saper distinguere tra due domande differenti. La prima domanda, di cui non mi sono occupato ad Accordi & disaccordi, è: “Chi è il responsabile della Seconda guerra mondiale?”. A mio giudizio, Hitler è stato il principale responsabile. La seconda domanda è: “Attraverso quali meccanismi e reazioni a catena ha avuto inizio la Seconda guerra mondiale?”. Max Weber ha spiegato che le domande che uno studioso si pone sono legate ai suoi valori. Essendo io un promotore della cultura della pace, è normale che sia un esperto nello studio dei meccanismi che innescano la violenza politica, sia essa il terrorismo o l’avvio di una guerra. Se comprendo i meccanismi di innesco delle guerre passate, allora forse posso sperare di indicare come evitare di commettere gli stessi errori in Ucraina.
Secondo Colombo, poi, io sarei una specie di nemico dell’Occidente. Peccato che in tutti i miei libri io difenda i valori della società aperta e sostenga che il legame tra l’Italia e gli Stati Uniti dovrebbe essere molto stretto. Difendo anche la Nato. Come ho spiegato nel mio libro Viva gli immigrati (Rizzoli 2019), la Nato si sarebbe dovuta espandere in Nord Africa e non al confine con la Russia. Sono anche un convinto sostenitore dell’Unione europea. Mi limito a criticare un aspetto particolare della politica della Nato, della Casa Bianca e dell’Unione europea, vale a dire la pessima gestione della crisi in Ucraina. Penso che l’Occidente sia corresponsabile di questa immane catastrofe, per quanto la colpa principale ricada su Putin (che l’altra sera, nella “famigerata” lezione alla Sala Umberto, ho ribadito essere un dittatore brutale e sanguinario). E non lo dico da oggi. Lo dico almeno dal 4 dicembre 2018, quando in Parlamento richiamai l’attenzione dei nostri senatori sui pericoli gravissimi, e da tutti ignorati in Italia e non solo, che si profilavano in Ucraina dell’Est.
Tutti noi, professori e non, collaboratori del Fatto e non, siamo esposti al giudizio degli altri: dei colleghi, degli studenti, dei lettori, dei telespettatori, dei cittadini tutti. E non ci inalberiamo di certo dinanzi a chi dissente: la pluralità di voci è una ricchezza per la democrazia e, come sto constatando da quando sono stato invitato a collaborare, anche per il Fatto Quotidiano. Io, per parte mia, chiedo solo a chi vuole dissentire da me di compiere lo sforzo di ascoltarmi e poi di giudicarmi per quello che dico.
Mi auguro di avere occasione di confrontarmi con Furio Colombo anche personalmente e, intanto, di continuare a leggerlo – ora condividendo le sue tesi, ora dissentendone – sul Fatto quotidiano.