Tanto di cappello a Corrado Augias. Se non ci fosse, Augias non bisognerebbe inventarlo, però bisognerebbe reinventare uno per uno gli spazi dedicati alla cultura sulle reti generaliste Rai. Non sapremo mai se la capacità divulgativa di Augias sfiora l’onniscienza o se il servizio pubblico non dispone di alcuna alternativa. Intanto, salutiamo il ritorno in video del più leonardesco dei conduttori. Ha fatto luce sui misteri del passato (Enigmi), ha passato in rassegna le grandi menti dell’umanità (Visionari), ci ha accompagnato nei luoghi oscuri della porta accanto (Città segrete), ci ha condotto tra gli intrighi internazionali (Rebus), ci tiene aggiornati sui temi dell’attualità editoriale (Quante storie).
Restava tuttavia scoperta la musica. Deve essersene accorto anche lui, perché ha colmato la lacuna con La gioia della musica, striscia preserale di Rai3 affrontata con il consueto piglio di colta, garbata affabulazione; Augias discute delle partiture con una direttrice d’orchestra, analizza le caratteristiche di ogni strumento con il singolo professore (nella puntata dedicata al Barbiere di Siviglia abbiamo assistito a una visita specialistica alla grancassa), si interroga sullo stile dell’autore, si riserva una pillola moraleggiante in chiusa di puntata.
A volte, come nel caso del capolavoro di Rossini, Augias sente la musica fino a identificarsi, e pour cause. Impossibile non associare la figura di Figaro, “largo al factotum della città”, a chi da anni è diventato – senza colpo ferire – il factotum di Viale Mazzini. Poi c’è Rossini, il genio che smise di scrivere per il teatro a 37 anni, giusto il tempo di passare alla storia, e per i successivi 39 si ritirò a Parigi, dove abbandonò quasi del tutto la composizione. Un mistero su cui si interrogò il mondo intero, e su cui non si dà pace pure Augias. Che sarà stato? Un male oscuro? Chissà.
C’è gente che non si stufa mai di essere se stessa: per esempio Augias, a 87 anni è più Augias che mai. Ma se Rossini si fosse stufato di essere Rossini?