Martedì è stata, per gli ingenui, una giornata piena di stupori e rimembranze. Mentre in aula andava in scena lo spettacolo suicida dell’adorazione della Madonna pellegrina e fuori si svolgeva “l’incomprensibile teatrino” (copy Pier Ferdinando Casini, uno che di teatrini se ne intende, essendosi seduto in tutti i mari e in tutti i laghi dell’emiciclo), ci è tornata in mente la famosa frase di Leon Gambetta, primo ministro francese “opportunista”. “Per una cosa mal concepita occorreva una parola mal concepita, così l’hanno chiamata ‘opportunismo’”.
In politica afferrare l’occasione più favorevole è considerato un pregio, almeno da chi non si scaglia un giorno sì e l’altro pure contro i cambiacasacca. “È un vero e proprio mercato delle vacche che va fermato. Per questi parlamentari contano solo la poltrona, il mega stipendio e il desiderio di potere”. Era il non lontanissimo 2017, indovinate chi l’ha detto? Noi, peraltro, siamo stati sempre contrari all’introduzione del vincolo di mandato, ma pure al disinvolto trasformismo dei voltagabbana professionisti. Il cambio d’abito però, quando è il proprio, lo si giustifica più facilmente. Per capire L’Aria che tira a proposito di mandati, basta rispolverare qualche puntata dell’omonima trasmissione: “Dopo il secondo mandato, lascerò la politica” (6 febbraio 2017); “La regola dei due mandati non è mai stata messa in discussione” (24 novembre 2019).
E chissà che avrà pensato martedì sera quel signore che ha prolungato il suo soggiorno al Colle, ricevendo il visitatore ministeriale, folgorato sulla via di Mario. Forse il clima del Quirinale mitiga i ricordi e dunque il Presidente avrà apprezzato la parabola di San Luigi e il Draghi. Però noi che per vivere scribacchiamo, abbiamo la memoria allenata.
E subito ci siamo ricordati di quel giorno – era un maggio insolitamente caldo – del 2018. Dopo due mesi di consultazioni (in cui Cottarelli si aggirava per Roma in attesa di una telefonata) il presidente della Repubblica spiegò che la lista dei ministri presentata dal premier incaricato (il Conte puzzone) andava bene a parte un nome, quello del titolare dell’Economia (Paolo Savona). E pubblicamente evocò addirittura il babau della “fuoruscita dell’Italia dall’euro”.
La bocciatura di Savona mandò – non senza ragioni costituzionali – su tutte le furie i 5stelle e i pochi impavidi che ebbero il coraggio di far notare che – siccome non siamo una Repubblica presidenziale – il presidente quando forma il governo non fa il suo governo, ma quello della maggioranza. I grillini chiesero “l’impeachment”, indignando la stampa democratica come mai. La notizia della messa in stato d’accusa del Presidente gli italiani la appresero da una telefonata in diretta alla trasmissione di Fabio Fazio: “Se andiamo al voto e vinciamo, poi torniamo al Quirinale e ci dicono che non possiamo andare al governo, dico che bisogna mettere in Stato di accusa il Presidente. Prima attiviamo l’articolo 90 e poi si va al voto”. Si sa come finì la storia: con il Presidente è diventato “un rapporto bellissimo”.
Incoerenza fa rima con tante parole: emergenza, insipienza, sopravvivenza, supponenza, obbedienza… e riconoscenza, naturalmente. Dunque non dobbiamo stupirci. Del resto la riabilitazione del bibitaro è già avvenuta (leggere per credere i pezzi orgasmici di ieri) e proprio da parte dei commentatori che si sbellicavano dalle risate per il suo congiuntivo imperfetto. Se qualche anno fa qualcuno ci avesse detto che Luigi Di Maio si sarebbe rimangiato tutto, proprio tutto, non ci avremmo creduto. Ma il congiuntivo, come dice la canzoncina, si usa per eventi che non sono reali. Per la realpolitik però va benissimo. Anche quando malfermo.