Partiamo da un’utopia. Terminata nel 1945 la seconda guerra mondiale (calda), per riorganizzare il potere planetario non si trovò nulla di meglio che scatenare nel 1947 una seconda guerra (fredda), tra gli Stati Uniti, con tutti i loro alleati, e l’Unione Sovietica con tutti i suoi satelliti. Nel 1949 dodici paesi del blocco occidentale, capeggiati dagli Usa, firmarono il Patto Atlantico con cui si munirono della NATO, cioè di un esercito “difensivo” per dissuadere la Russia da ogni velleità espansiva. Sei anni dopo, nel 1995, l’Unione Sovietica creò qualcosa di analogo, cioè il patto di Varsavia. I costi di funzionamento della NATO sono ripartiti tra i paesi membri in funzione dei loro PIL, ma le decisioni stanno prevalentemente nelle mani degli Stati Uniti. Praticamente ogni Paese europeo paga per mantenere in vita l’esercito che lo occupa.
Ed ecco l’utopia. La guerra fredda è durata fino alla caduta del muro di Berlino (9 novembre 1989) e la successiva dissoluzione dell’Unione Sovietica (26 dicembre 1991). Dunque sarebbe stato legittimo sognare che, cessata la causa della guerra fredda, con essa cessassero anche la Nato e il suo esercito. Dopo di che iniziasse un’azione di riavvicinamento tra i due tronconi dell’Europa: quello del Patto Atlantico e quello del Patto di Varsavia, per costruire economicamente, politicamente e culturalmente un’Europa unica, “dall’Atlantico agli Urali”, secondo il celebre auspicio di De Gaulle.
Ne sarebbe potuta nascere una potenza centrata sulla cultura, non sulle armi; sulla cooperazione non sulla concorrenza; sulla fiducia non sulla diffidenza. Una potenza alla quale la Russia avrebbe partecipato con circa 4 milioni di Km2, con una letteratura che va da Tolstoi a Dostoievski, una musica che va da Ciaikovkij a Shostakovich, una pittura che va da Malevich a Chagall: tutti geni che sentiamo europei da sempre così come europei – anzi, italiani – sono stati gli architetti che hanno costruito San Pietroburgo.
Più di qualcuno propose una politica di riconciliazione della Russia con il resto d’Europa; si parlò persino di una specie di piano Marshall per riavvicinare le due economie. Ma l’America ha visto sempre, nel consolidarsi e nell’estendersi dell’Unione Europea, un affronto alla sua egemonia planetaria. Tanto più che la forza dell’Europa non sta nelle armi ma nella ineguagliabile polifonia delle sue trenta lingue, storie e culture.
Per evitare che l’utopia si realizzasse, l’America è subito corsa ai ripari. Invece di adoprarsi a smantellare la Nato, che la guerra fredda aveva giustificato e la fine della guerra fredda rendeva superflua, dopo la caduta del muro di Berlino ne ha potenziato il finanziamento (il solo Obama ha stanziato ben 1000 miliardi) e ne ha allargato via via il perimetro fino a includervi ben 14 paesi prima soggetti all’influenza sovietica e ora dotati di rampe di lancio mirate contro la Russia.
L’Ucraina non è tra questi quattordici ma quando la Russia l’ha sciaguratamente invasa, la NATO si è comportata come se si trattasse di un suo paese membro e gli Stati Uniti hanno assunto la guida dell’operazione come se fossero stati invasi essi stessi. Inoltre hanno illuso Zelens’kyj di poter sconfiggere la seconda potenza militare del Pianeta che arriva a contare due milioni di combattenti e possiede il più ricco arsenale di bombe nucleari tra cui la più micidiale finora costruita nel mondo che, da sola, ha una potenza distruttiva 3.500 vote superiore a quella lanciata nel 1945 su Hiroshima.
Di tutta la nostra utopia resta solo questo: comunque vadano le cose in Ucraina e per quanto tempo possano prolungarsi, comunque alla fine ci saranno due vincitori (Stati Uniti e Cina) e ci saranno due perdenti (Russia ed Europa).