Spesso ci domandiamo: chi sta pagando il conto della guerra? La risposta alla domanda non si esaurisce con gli ucraini, invasi, e i russi, colpiti da sanzioni durissime. L’impatto – parlo di quello economico, ma non solo – è globale e sta colpendo duramente tutto l’Occidente.
L’Ucraina perderà, secondo le stime, quasi metà del suo Pil: la conta dei danni oscilla tra i duecento e i 600 miliardi di dollari. La Russia è stata invece colpita da sanzioni che, per durezza ed estensione, non hanno precedenti. L’Economista Branko Milanovic l’ha definito “il più grande trasferimento di ricchezza della storia”.
Ma qual era l’obiettivo immediato delle sanzioni? Indebolire la Russia al punto da innescare una crisi del regime di Vladimir Putin; o, nel medio termine, di portare l’economia a livelli post sovietici. Almeno nel breve termine, però, il piano è fallito: la Russia non è collassata anzi, le minacce occidentali d’embargo e la strategia-ricatto dei russi di ridurre le forniture facendo salire i prezzi, hanno gonfiato le sue entrate a livelli record. Per dare l’idea, solo negli ultimi dieci giorni, Mosca ha fornito metà del gas richiesto ma ha incassato quasi il 50% in più. Le sanzioni, oggi, stanno riempiendo di soldi Mosca.
Nel medio-lungo periodo, molto dipenderà invece dalla capacità di Mosca di guardare ad altri mercati, a Cina e India, non solo come destinatari del petrolio che l’occidente smetterà di comprare ma anche come fornitori in grado di sostituire le compagnie occidentali. Perché quello che spesso dimentichiamo, noi occidentali, è che metà del pianeta non ha seguito l’Occidente nella sua rappresaglia nei confronti dell’invasione russa.
L’impatto per Mosca – si è detto – sarà pesante. Ma sarà pesante anche il prezzo che pagheranno le popolazioni dei Paesi occidentali, alla luce dell’aumento dei costi energetici. Se si considera questo, il bilancio diventa ancora più negativo. La Russia ha usato il gas come un’arma di guerra. Il prezzo del metano oggi è incompatibile con la vita di molte imprese e cittadini, e l’embargo del petrolio russo ha fatto salire le quotazioni del greggio a livelli insostenibili per molti Paesi.
Ci sono pochi eventi storici che causano inflazione come una guerra e questa guerra è arrivata quando il mondo stava cercando di ripartire dopo lo choc della pandemia. I rincari delle materie prime energetiche, partiti a fine 2021, sono schizzati con la guerra e si sono scaricati su altri beni: l’occidente oggi sperimenta livelli di inflazione che non si vedevano da 40 anni.
Per combattere l’inflazione la risposta è sempre la solita. Le banche centrali occidentali stanno rialzando i tassi d’interesse per frenare i consumi e con essi la corsa dei prezzi, insomma, provocando una recessione. Chi pagherà, ancora una volta? Il colpo lo subiranno i salari. L’economista Larry Summers nei giorni scorsi ha parlato al presidente americano Joe Biden, a cui ha spiegato che è necessario che la disoccupazione negli Usa salga almeno al 5% per ridurre l’inflazione. Ecco, combatteremo l’inflazione, che colpisce chi è più in difficoltà, attraverso la disoccupazione, che toglie proprio il reddito ai più poveri.
La guerra ha fatto esplodere anche la crisi alimentare, visto che coinvolge Russia e Ucraina, due dei più grandi esportatori mondiali di grano. Il Nordafrica e il Medioriente dipendono fortemente dal grano ucraino e russo. L’aumento dei prezzi delle materie sta mettendo in ginocchio diversi Paesi, dallo Sri Lanka al Pakistan, mentre altri – come l’Iran e la Tunisia – sono scossi da moti di piazza. Ed è solo l’inizio. Le stime di Oxfam parlano di altri 236 milioni di persone che rischiano di finire in povertà estrema.
Anche questo, in fin dei conti, che cos’è se non il conto economico della guerra?