A ormai quattro mesi dall’inizio di questa guerra sappiamo di essere stati catapultati in una nuova epoca storica in cui non riusciamo a orientarci. Ma se l’esito della guerra può essere incerto, si sa bene a che cosa porterà la politica distruttiva delle armi che rischia di essere un attacco alla vita dell’intero Pianeta.
L’esperienza di questo periodo è drammatica. Anziché tentare di circoscrivere il conflitto, si è voluto introdurre la guerra “in spirito”. E questo vuol dire che la guerra ci ha invaso. La militarizzazione del dibattito non è stato un effetto collaterale e secondario; piuttosto è stata la via maestra per introdurre la guerra nella nostra esistenza quotidiana come se fosse un evento ineluttabile. Giorno dopo giorno – in una escalation di parole – la guerra è stata presentata nella sua assoluta irreversibilità. Questo ha permesso che gravi ed epocali scelte politiche venissero spacciate come asettiche manovre amministrative. Se prima aveva abdicato all’economia, e poi alla scienza, oggi la politica, ridotta a governance amministrativa, abdica alla guerra come soluzione dei conflitti. Si decide “sul campo”. E si legittimano ferocie ed efferatezze.
Non sorprende che l’informazione sia stata in larga parte costrizione – che in una guerra senza precedenti alle idee e, anzi, al pensiero stesso, ci sia stato un tentativo sistematico di costringere a vedere le cose in un unico modo e di “allineare” l’opinione pubblica. Le indecenti liste di proscrizione (un’esperienza che ho vissuto traumaticamente) sono solo l’epifenomeno di ciò. Mai come in questi mesi l’arruolamento delle opinioni conformi e la scomunica di quelle difformi ha travalicato il limite della decenza. Si è impedito – non senza violenza – di ragionare sulle cause, gli effetti, le soluzioni. Ma occorre sapere che non è finita ed essere preparati per questo. Ecco perché sono convinta che un giornale come Il Fatto, che ha svolto un ruolo informativo e politico così dirompente, debba avere l’obiettivo, nel futuro prossimo, di diventare una comunità interpretativa che sia sostegno della democrazia.
La guerra alle idee è stata ed è, infatti, una guerra alla democrazia. Bisognerà riflettere su questo terribile paradosso che è sotto i nostri occhi. La guerra d’Ucraina viene presentata come la difesa delle democrazie occidentali contro le autarchie. In questo nuovo scontro di civiltà, dopo quello contro il jihadismo, tutta la propaganda è costruita intorno alla figura del nemico: l’autocrate. Sennonché questa ulteriore esportazione della democrazia avviene nel modo più fondamentalista che si possa immaginare. Si inneggia alla guerra in nome dei “valori occidentali”, mentre sono proprio questi valori a essere calpestati: anzitutto la libertà d’espressione. Questo scenario durerà ancora a lungo e con la guerra si aggraverà. Da una parte c’è una rappresentazione quasi religiosa della democrazia – dall’altra un’interna tentazione autocratica che la sospende o la cancella.
Il modo per contrastare questa deriva che, come ogni fondamentalismo, ha tratti mortiferi, se non suicidari – s’inneggia al martirio eroico – è l’informazione intesa come mediazione, distacco dal flusso ininterrotto del fermo-immagine pornografico, invito alla riflessione e al pensiero. Guerra vuol dire confusione – perciò serve lucidità d’analisi e distinguo. Le idee contro la guerra.