L’informazione italiana è arrivata totalmente impreparata all’appuntamento con la guerra. La politica estera è quasi sempre (colpevolmente) marginale su giornali e tivù, e in pochi si aspettavano lo scoppio del conflitto russo-ucraino. Questa sostanziale ignoranza dei più ha portato a un clima incarognito e iperteso, fatto di faide rancorose e fazioni ultrà. È sconfortante, ma siamo riusciti a dividerci in tifosi anche dentro una guerra. Chi tifa Zelensky, chi tifa Putin (poveri imbecilli). E in pochi che ragionano, argomentano e si sforzano di affrontare la complessità. Pensare che Zelensky abbia sempre ragione o che Draghi abbia sempre torto è comodo, ma vuol dire semplificare oltremodo (vuoi per ignoranza, vuoi per interessi di bottega). La geopolitica è una cosa complessa e non puoi improvvisarti esperto.
Per i primi 45 giorni di conflitto non sono praticamente mai andato in tivù: non mi ha fatto piacere, ma è stato giustissimo. E avrebbero dovuto farlo il 90% degli opinionisti politologi (e derivati) che, fino al giorno prima, non avevano provato il benché minimo interesse nei confronti della politica estera. E invece ho visto per mesi gente nota, di ignoranza conclamata, che discuteva di geopolitica con esperti quali Caracciolo e Orsini. Ma stiamo scherzando?
La criminalizzazione del “pensiero diverso” è oscena, ma non inedita. Al Fatto ci siamo abituati. Ciò dipende da disonestà intellettuale (ragionare per fazioni, servilismo filogovernativo) e dalla incapacità mentale di comprendere la complessità. Purtroppo l’animale uomo è spesso affetto da analfabetismo funzionale e vede solo bianco o nero. Invece la guerra esige uno sforzo suppletivo mentale: non è un derby tra Inter e Milan. La guerra esige un surplus di discernimento intellettivo. Scrivere sui social “Io sto con l’Ucraina” alleggerisce la coscienza, ma da un punto di vista intellettuale lascia il tempo che trova (fermo restando la vicinanza assoluta al popolo ucraino e le colpe eterne di quella carogna di Putin).
L’Italia è un paese malato. Davvero per mesi si è discusso su Orsini e sul suo diritto o meno (?) di parlare in tivù? Davvero i servizi segreti si occupano di quattro imbecilli no vax e filoputin? Davvero la politica (obbrobriosa) italiana usa pure la guerra per mettere il bavaglio agli “irregolari”? Che clima misero.
Se c’è una cosa che questa guerra mi ha insegnato, è quella di dover sempre studiare. Tanto. Studiare e alimentare il dubbio. Lo sapevo già, ma ora mi è ancora più chiaro. Diffidate di chi ha solo certezze: sono persone che non vi faranno mai crescere.
Mentre avverto un’aria di disinteresse crescente nei confronti della guerra, quasi che la mitridatizzazione ci avesse già assuefatto alle morti e ai crimini, c’è un’ultima cosa che voglio dire. Riguarda questo giornale. Qualche ebete lo ha definito “putiniano”. Qualcun altro lo reputa una caserma dove tutti la pensano allo stesso modo. Follie. Io non credo che Orsini sia il Dogma, a volte lo condivido e a volte no, ma leggerlo e ascoltarlo mi arricchisce. Io non condivido quasi nulla di quel che asserisce Donatella Di Cesare, ma sono felicissimo che scriva sul Fatto. Ben venga il confronto!
Se cercate una milizia di soldatini monopensanti, che obbediscono a imperativi (peraltro inesistenti) provenienti dall’alto, scegliete un altro giornale. Se invece amate il pensiero libero, il dubbio e la complessità, come peraltro credo, restate con noi.