Come tutti coloro che sono nati dopo la guerra, io la guerra l’ho immaginata un giorno sull’Adamello quando una guida indicò le trincee italiane della Grande Guerra. Mi sembrò di vedere, a un segnale degli ufficiali, migliaia di ragazzi correre all’assalto delle postazioni nemiche, a onde, falciati come spighe di grano dalla mitraglia austriaca. Giorni fa, intervistato dai direttori delle riviste della Compagnia di Gesù, Papa Francesco ha trasmesso un’emozione simile ricordando la visita al Sacrario di Redipuglia nel 2014: “Ho pianto quando ho vista l’età dei caduti”. Gli stessi giovani di 20,22,24 anni del cimitero di Anzio sulle cui tombe Bergoglio racconta di aver pregato sgomento. Poi, rivolto ai presenti ha detto: “Vorrei che le vostre riviste facessero capire il dramma umano della guerra. Il dramma umano di quei cimiteri, il dramma umano delle spiagge della Normandia o di Anzio, il dramma umano di una donna alla cui porta bussa il postino e che riceve una lettera con la quale la si ringrazia per aver dato un figlio alla patria, che è un eroe della patria… E così rimane sola”.
Di quell’intervista collettiva sono frasi bellamente ignorate dalle truppe dell’informazione bellicista che da quella lunga e sofferta conversazione hanno tratto motivo di scandalo perché Francesco aveva osato dire – pur accusando senza mezzi termini il criminale Putin e ammirando la resistenza del popolo ucraino – che davanti a questa immane tragedia “bisogna allontanarsi dal normale schema di Cappuccetto rosso buono e del lupo cattivo”. Perché qui, ha spiegato, “non ci sono buoni e cattivi metafisici, in modo astratto”. Apriti cielo! Come si permette questo Papa di non attenersi al catechismo Nato? Qualcuno si è spinto a dire che “era meglio quando i Papi non parlavano”. Ora, penso non occorra essere definiti pacifisti (un sasso che ti viene scagliato contro se solo provi a riflettere sulle cause che originano gli effetti) per esternare davanti a questa guerra, e alle guerre in generale, non le analisi geopolitiche o di alta strategia, ma quelli che sono, semplicemente, i nostri sentimenti umani (se ne conserviamo qualcuno). L’orrore per tanta insensatezza. Ma anche il rifiuto più netto dell’ipocrisia, soprattutto quando la malafede semina propaganda sulle pelle del prossimo. La madre di tutte le ipocrisie di chi arma l’aggredito mentre paga il gas dell’aggressore.
E poi l’ipocrisia domestica, abbastanza sordida, a piè di lista che ignora il parere della maggioranza degli italiani, contrari all’invio di armi a Kiev senza se e senza ma e a totale discrezione del governo. Sulla Stampa, un giornalista senza paraocchi, Domenico Quirico, ha ricordato come nel 1936 “molti intellettuali gettarono la macchina da scrivere e partirono per la Spagna a combattere, alcuni nelle file degli aggrediti da Hemingway a Malraux a Orwell, molti di più come Mauriac, per condividere quella tragedia con le vittime”. “Combatterono”, ha scritto, “e persero quella guerra. Al ritorno, dopo averla vissuta, scrissero i capolavori che servirono per capire, e a sconfiggere quella rassegnazione di fronte al Male, per cui l’uomo diventa, al momento buono, disponibile per ogni sorta di violenza”. Quale distanza morale, abissale, con i cosiddetti intellettuali che bivaccano “tutte le sere negli studi delle tv europee e americane a descrivere una guerra che non hanno visto, a fornire motivazioni per l’invio di armi per prolungare la resistenza e annientare eventualmente il tiranno”. Infatti, “nessuno chiede certo agli intellettuali di arruolarsi nei battaglioni di Zelensky, il problema è semmai nella legittimità ed efficacia di descrivere una guerra, analizzarla, invocarla senza averla mai provata nella sua incalzante brutalità. È nel primo morto che s’incontra, in un fosso, riverso in un campo o tra le macerie che è tutto il senso della faccenda”.
Certo, tutti odiano la guerra, ma c’è chi nell’odiarla non può non denunciare coloro che, da un comodo divano, l’adoperano per manganellare chi non la pensa come loro, per regolare certi conti in sospeso. Con odiose liste di proscrizione di presunti filoputiniani, magari attinte da qualche dossier dei servizi segreti, dove non infilano il Pontefice per pura viltà verso i potenti. Noi siamo oggi qui a proclamare, a ribadire, senza equidistanza alcuna, il nostro rispetto per la persona. Il nostro dolore per le vite stroncate e gettate in un fosso da un despota folle. Il nostro disprezzo per quella politica, e per quella informazione che considera le perdite di vite umane alla stregua di un numero indistinto con cui nutrire opportunismo e narcisismo. Che si comporta esattamente come quel nemico che dice di combattere.