Alaska è un collettivo artistico, diventato Associazione nel 2020 durante la pandemia. Il gruppo ha lo scopo di promuovere progetti in campo artistico e culturale volti ad approfondire una ricerca qualitativa e inclusiva dei linguaggi dell’arte. Il bisogno è quello di costruire comunità, attraverso forme rituali di ricerca e condivisione legate al presente, che collochino al centro tanto l’operazione artistica quanto l’incontro stesso tra persone. Riconsegnare qualità e significato all’esperienza. Contrastare, come può, la deriva individualistica dell’uomo e dell’arte.
Guardando in questa direzione non può evitare di porsi delle domande sugli inevitabili rapporti che legano essere umano, natura e civiltà, a cominciare dal desolato contesto in cui si trova. La sede di Alaska è una casa a Robecco Pavese, nel bel mezzo della pianura padana. Robecco è “un vicolo cieco”, o meglio, fa parte di quei piccoli e invisibili centri rurali della provincia (spesso vicini e accomunati da spopolamento e forte invecchiamento) essenzialmente travolti da una crisi esistenziale. Robecco ha poche case, tante vuote, alle quali si torna per dormire. Ci sono tanti vecchi e pochi bambini, in generale una scarsissima coesione sociale perché mancante di un luogo, di una situazione o della curiosità di un incontro, che al massimo avviene nella farmacia, unica attività commerciale. Ci si muove quasi esclusivamente in macchina, un solo autobus al mattino verso le scuole, a piedi invece non si arriva da nessuna parte.
Nonostante il termine nasca per indicare tutt’altro tipo di realtà, luoghi come questo
sono a tutti gli effetti “nonluoghi”. Fine, forma e identità, con i quali sono nati, vengono meno, il presente lascia intravedere solo un graduale declino. Ne consegue, ora più che mai, una colossale mortificazione del diritto all’esperienza. Questi “nonluoghi” diventano anche deriva ideale per un urbano privo di limiti che ha creato una distesa di capannoni industriali, alcuni in uso, altri svettano come mostruose cattedrali in stato di abbandono e sempre più ridotti appezzamenti di monoculture.
Di particolare rilevanza l’invasione indiscriminata delle grandi logistiche, ormai 90 nella sola provincia pavese, e la preoccupante e sistematica comparsa di nuovi progetti in questa direzione. In questo momento altri 10 attendono l’approvazione. Questo accade anche nella vicina Casatisma, un piccolo comune di 850 abitanti, che approva il progetto della Gsm srl di Bergamo, per la costruzione di un enorme polo logistico. Il progetto presentato inizialmente copre un’area di oltre 300.000 mq, viene poi sapientemente ridimensionato a 190.000, così da poter ottenere più facilmente il via libera, mantenendo la evidente intenzione, in un futuro prossimo, di espandersi a macchia d’olio, dato che la stessa società ha già acquistato diversi terreni a Robecco e nei comuni limitrofi. Questa pare essere la prassi.
Parliamo di un significativo ulteriore consumo di suolo, per di più agricolo fertile che andrebbe tutelato come risorsa non rinnovabile scarsa e che la modifica del Pgt (Piano di Governo del Territorio) ha lasciato alla mercé di possibili trasformazioni di utilizzo, a fronte invece di una dichiarata riconversione ecologica da parte delle istituzioni del territorio. Occorrerebbe puntare sulla destinazione di nuovi suoli all’attività agricola per far fronte alla crescita della domanda interna e alla drastica riduzione delle importazioni, invece dimostriamo di non avere nessuna visione strategica del futuro, nemmeno a breve termine.
Gli effetti poi non sono solo negli occhi che assistono a una brutale devastazione del paesaggio, ma anche nei polmoni di chi abita queste zone, già altamente compromesse dal punto di vista dell’inquinamento atmosferico. Davanti a questi paradossi non si trovano risposte ma è doveroso farsi e fare a chi non può non rispondere, delle domande precise.
Non è sproporzionato il potere decisionale lasciato al singolo Comune? Siamo proprio sicuri si tratti di “questioni locali” e non invece a più ampio raggio se le si guarda da un punto di vista complessivo? Perché, semmai, non riutilizzare le aree dismesse dei precedenti insediamenti logistici? (in questo caso, nella vicina Bressana Bottarone sono già presenti oltre 140.000 mq adibiti a logistica, dichiarati falliti, lasciando al comune 4 milioni di debiti, più altri 300.000 mq in costruendo). Come si spiega una continua e sottostimata valutazione degli effetti del traffico? Non è un’anomalia che tutti i progetti di poli logistici sorti nella provincia pavese siano stati esclusi dalla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) da parte della Provincia? È sempre e solo responsabilità individuale tutelare la qualità della vita e il diritto alla salute? Come ci si accorge e ci si prende cura del paesaggio che è spazio e patrimonio pubblico? Siamo, per l’ennesima volta, davanti all’orrore di un sistema che definisce il bene esclusivamente in termini di profitto piuttosto che in termini di bisogno umano. E quando ci si chiede “E ora che si fa?” si ha sempre l’impressione che ormai sia troppo tardi. O forse no.