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Firma digitale, Colao e il governo “uccidono” (ancora) la partecipazione

13 Luglio 2022

In attesa che i nostri eroi, approfittando del disgusto dei cittadini che li spinge sempre più al non voto, tentino di restaurare pure la monarchia grazie a un Parlamento eletto nel prossimo futuro da meno del 40 per cento degli aventi diritto, c’è chi si è già portato avanti col lavoro.

Per bocca del ministro per la Transizione digitale, Vittorio Colao, il governo ha annunciato la marcia indietro sulla raccolta delle firme in digitale per proporre i referendum. Così, in Italia si potranno continuare a usare Pec, Spid, sistemi informatici e Internet per pagare multe e tasse, ottenere certificati online o ricevere, come è accaduto col Covid, rimborsi e ristori, ma non per esercitare i propri diritti di elettori.

Le motivazioni giuridiche per giustificare il dietrofront sono ovviamente dotte e molteplici. Il nocciolo della questione, però, è semplice: le adesioni informatiche a valanga ottenute due anni fa dalle richieste per una consultazione su cannabis ed eutanasia hanno fatto paura. All’improvviso, dopo decine di esecutivi fatti e disfatti grazie a manovre di Palazzo, c’è chi si è reso conto che grazie alla telematica il gioco del voi ci votate e poi noi facciamo come ci pare rischiava di saltare.

Perché almeno sui grandi temi che riguardano la vita di tutti (la morte, la droga, i diritti civili e, perché no, la guerra e le armi) era davvero possibile spingere gli italiani a cancellare le scelte del Parlamento. Nei casi di cannabis ed eutanasia era stata la Corte costituzionale a metterci una pezza, ma i giudici, si sa, possono cambiare e quindi il rischio rappresentato dal digitale era troppo grosso.

Come del resto aveva apertamente ammesso il presidente della Consulta, Giuliano Amato, che il 16 febbraio, in conferenza stampa, dopo la bocciatura dei due referendum, aveva detto: “Tutti consideriamo che ciò che è elettronico arricchisce la democrazia, però non è detto perché la firma elettronica porta a decidere senza dialogo su ciò che ciascuno già sa. Sui suoi giudizi, ma anche sui suoi pregiudizi”. Una frase senza capo né coda che potrebbe benissimo adattarsi pure al tradizionale voto cartaceo per le elezioni politiche, in cui gli elettori scelgono questo o quel partito in base ai propri giudizi o pregiudizi. Un problema che, come dimostra anche la recente storia politica di questo Paese, in Italia è stato però ampiamente risolto seguendo la massima di Mark Twain: “Se votare contasse davvero qualcosa, non ce lo farebbero fare”.

Del resto, la raccolta delle firme digitali utilizzate per richiedere la consultazione popolare su cannabis ed eutanasia era nata quasi per caso nel 2021 grazie ai pareri positivi delle commissioni Affari costituzionali e Ambiente, che avevano approvato un emendamento nonostante il parere negativo del governo. Così era stato inaugurato un sistema che, proprio come prevedevano le norme già in vigore, sanciva l’inutilità dell’autenticazione in via analogica delle firme inviate informaticamente grazie allo Spid. Poi, ad aprile del 2022, era intervenuto l’ufficio complicazioni affari semplici, al secolo il Garante della privacy, che aveva sollevato problemi sul trattamento dei dati e sulla piattaforma da utilizzare.

Il Garante, per la verità, aveva chiesto solo una “revisione del testo” della norma. Ma il governo ha preso la palla al balzo e ha spiegato che d’ora in poi, nonostante lo Spid, ogni firma andrà autenticata e accoppiata manualmente al certificato elettorale. Un altro pezzo di democrazia muore e pure questa rubrica, arrivati a questo punto, non si sente troppo bene.

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