L’ex premier apre ai Verdi, ma spera di ricucire col Pd. L’appoggio di Grillo: “Sgomento per gli attacchi al Movimento”
Non era il voto anticipato ciò che cercava, no davvero. Ma ora Giuseppe Conte, l’avvocato che voleva mettersi all’opposizione e invece si ritrova con le urne a settembre, deve già radunare i parlamentari nella sede del M5S per chiudere i programmi per le Politiche. Mentre prova a dialogare con i Verdi europei, cioè ad allargare, […]
Non era il voto anticipato ciò che cercava, no davvero. Ma ora Giuseppe Conte, l’avvocato che voleva mettersi all’opposizione e invece si ritrova con le urne a settembre, deve già radunare i parlamentari nella sede del M5S per chiudere i programmi per le Politiche. Mentre prova a dialogare con i Verdi europei, cioè ad allargare, nella speranza di riesumare il fu campo progressista con il Pd. E torna a ragionare sul vincolo dei due mandati. Perché è vero, il muro di Beppe Grillo contro deroghe e modifiche resta altissimo, e sarebbe la tagliola per big come Roberto Fico, Paola Taverna e Alfonso Bonafede. “Ma Giuseppe ci riproverà”, dicono. “Mi presento alle elezioni come leader del Movimento” certifica nell’attesa Conte a Zona Bianca. Dove racconta: “Ho sentito Grillo, anche lui è sgomento per gli attacchi al M5S”
Come a dire che il fondatore concorda sulla linea. Quella che in mattinata il leader aveva rispiegato ai deputati, a Montecitorio: “Chiedevamo un’agenda di governo, ma abbiamo preso atto che non ci volevano, era una decisione obbligata”. Il messaggio resta quello: la crisi del governo l’hanno provocata altri, compreso quel Mario Draghi che “non ci ha difeso”. Ma è già il passato, questo. Così il capogruppo alla Camera Davide Crippa, quello che dal governo non sarebbe mai uscito e di cui qualche lealista vuole la testa, chiede: “Ora che ne sarà del fronte progressista, dell’alleanza con il Pd in Comuni e Regioni?”. E Conte schiva: “Ne parleremo presto in assemblea congiunta”. L’avvocato e i contiani più stretti restano convinti che i democratici non rinunceranno all’alleanza con il M5S, “perché senza di noi perderebbero tanti collegi uninominali”. Ma sul tema, in tv, Conte si mostra muscolare: “Noi siamo una forza progressista, perché guardiamo ala giustizia sociale e alla transizione ecologica. Chi vuole lavorare su questi temi può confrontarsi con noi, poi spetterà al Pd scegliere”. Il crinale è sottile. Anche se dalla Regione Lazio, governata dal dem Nicola Zingaretti, fanno sapere che la maggioranza con dentro i 5Stelle regge. Mentre la vicepresidente grillina Roberta Lombardi giura: “Per me il campo largo nel Lazio non è in discussione”. Però ci sono mal di pancia, alla Pisana, come nella Sicilia dove domani andranno in scena le primarie di centrosinistra. Con il referente regionale del M5S, Nuccio Di Paola, che alza la voce: “Con il Pd siciliano c’è massima sintonia, ma a quello nazionale chiediamo chiarezza: ci dica ora se vuole proseguire il comune cammino e non aspetti il verdetto delle primarie”.
Non a caso, Luigi Di Maio prova a mettere in difficoltà i dem: “Alleanze? Non posso stare con chi ha buttato giù Draghi”. E il suo sodale Manlio Di Stefano rilancia: “Mercoledì si è ricreato un asse tra Conte e Salvini”. Un nodo che si intreccia a quello del possibile ritorno di Alessandro Di Battista: il figliol prodigo che l’avvocato riabbraccerebbe volentieri, ma i parlamentari uscenti molto meno. “Verrebbe a commissariarci tutti, Giuseppe compreso” soffiano. E figurarsi i giudizi dal Pd, dove il pericolo Di Battista lo agitano da settimane. Però l’ex deputato, ragionano ai piani alti, potrebbe spostare voti, nella campagna elettorale lampo che nel M5S immaginano “impostata sui nostri temi, perché ora saremmo più liberi di dire che su reddito di cittadinanza e superbonus avevamo ragione noi”. Certo, come carta molto gradita alla base e anche a Grillo ci sarebbe anche Virginia Raggi. In rapporti però più che gelidi con Conte, e non è un dettaglio. Anche se da alcuni parlamentari sale la proposta di far votare sul web agli iscritti “almeno una rosa di nomi per ogni zona, poi sarebbe Giuseppe a decidere”. È la voglia di democrazia orizzontale.
E rivaleggia con quella di diversi contiani di rimettere mano al simbolo, con l’ormai nota richiesta: “Mettiamoci il cognome di Conte”. A margine, per il leader c’è anche il segnale della ministra Fabiana Dadone, che dopo i post governisti degli scorsi giorni gli conferma lealtà: “Non potevamo non fidarci della sensibilità etica e politica di Conte”. Poi c’è il ministro Federico D’Incà, ieri in piedi per salutare Draghi, molto critico sulla linea. Ieri su La 7 ha ripetuto: “Mi auguro che con il Pd si possa ricostruire un dialogo”. E la crisi? “Ho provato a evitarla fino all’ultimo”. A Conte a Zona Bianca hanno chiesto perché non avesse ritirato i ministri. “Perché fino all’ultimo pensavamo di rinnovare la fiducia” ha risposto. Lui, che sente il peso della crisi.