Non leggete questo articolo. Ritagliatelo, se lo state vedendo su carta, o fate copia-e-incolla e conservatelo in un file, se state consultando una copia digitale. Andrete a riprenderlo il 26 settembre, a elezioni concluse. Quel giorno, lo scenario più probabile sarà quello in cui la destra avrà la maggioranza in Parlamento e il partito di Giorgia Meloni (che nel simbolo ha la fiamma tricolore che rinasce dalla tomba di Mussolini) sarà la prima forza politica in Italia. (Il fronte Letta-Calenda non ha puntato davvero a vincere, ma spera tuttalpiù che dalle urne esca una maggioranza di destra meno netta e soprattutto divisa, per poter imporre un nuovo governissimo di Mario Draghi).
Dopo aver preso atto dei risultati, gli sconfitti Enrico Letta e Carlo Calenda sfodereranno una spiegazione secca per la loro disfatta: è stata colpa di Giuseppe Conte e dei Cinquestelle, che hanno fatto cadere il governo Draghi e portato alle elezioni anticipate, aprendo così la strada al trionfo di Meloni e al pericolo – diranno con enfasi – del “ritorno del fascismo in Italia”. I toni delle accuse saranno drammatici, soprattutto se la destra avrà in Parlamento i numeri per stravolgere la Costituzione senza neppure passare dal referendum popolare. Ma davvero sarà stata tutta colpa di Conte e dei Cinquestelle?
Per rispondere, è sufficiente constatare che il governo Draghi è caduto perché Forza Italia e Lega hanno approfittato di uno scatto d’orgoglio di Conte per andare rapidamente a riscuotere la loro vittoria elettorale. E comunque l’esito – il trionfo della destra – a parità di alleanze sarebbe stato lo stesso anche se il governo fosse arrivato alla sua scadenza naturale: pochi mesi non avrebbero cambiato la situazione. È stato il governissimo dell’establishment a gonfiare le vele di Giorgia Meloni. Lo spiega bene il sociologo Marco Revelli nel coraggioso film di Paola Piacenza Il fronte interno: “I poveri votano a destra per rancore contro chi li ha abbandonati e traditi. Il voto populista di destra non è un voto di protesta, ma di vendetta: scegliere il più brutto, sporco e cattivo, dal punto di vista dell’establishment, e votarlo. Per esprimere il rancore, la voglia di punire chi avrebbe dovuto rappresentarti e invece ha rappresentato altri: il mondo della finanza, della comunicazione, le nuove professioni, tutto quello che è veloce e ricco, tutto quello che fa ricchezza…”.
In Italia i Cinquestelle hanno provato, non da destra, a dare voce a chi è stato lasciato senza rappresentanza. Una sinistra laburista intelligente e lungimirante avrebbe colto il senso progressista di questa anomalia italiana e li avrebbe accolti come naturali alleati con cui poi competere. Invece ha preferito dimenticare il suo programma sociale per abbracciare quello di Confindustria, dell’establishment, poi la cosiddetta Agenda Draghi, tecnocrazia delle élite. Ha preferito i transfughi cambiacasacche: Calenda (dal Pd), Di Maio (dai Cinquestelle). Ha assunto, tramite Calenda, ulteriori dosi di centrodestra rappresentate da personaggi come Mara Carfagna e Mariastella Gelmini (responsabile della più micidiale controriforma della scuola mai vista in Italia). Ha dimenticato che la prima pietra della lapidazione della democrazia italiana l’ha scagliata un altro transfuga, Matteo Renzi, che nel 2021 ha fatto cadere – lui sì – il governo in carica, in cui Cinquestelle e Pd erano alleati, aprendo la strada al governo dell’ammucchiata dei “Migliori” che ha fatto crescere nel Paese la voglia di destra. Forse è lui il Facta 2.0.
Come andrà davvero a finire? Arrivederci il 26 settembre.