Quando, nel 2017, il Fatto lanciò la campagna per inserire almeno le preferenze nella quota proporzionale del mostruoso Rosatellum al posto delle liste bloccate dei “nominati”, il Pd rispose che era inutile, perché il suo statuto impone le primarie per ogni candidatura. Se tutti i partiti avessero affidato la scelta dei candidati agli iscritti, avrebbero sottratto l’intero Parlamento – i due terzi del proporzionale e il terzo dei collegi uninominali – ai diktat dei segretari. Purtroppo nel 2018 nessun partito, tranne i 5Stelle, fece le primarie. Neppure il Pd, che riuscì a violare le sue stesse regole, portando in Parlamento un falange di fedelissimi renziani scelti dal capo. Si sperava che Letta riscoprisse la norma fondativa del Pd, detto “democratico” perché affida alle primarie ogni scelta importante. Invece, diversamente da Veltroni nel 2008 (“ampia consultazione”) e Bersani nel ’13, se n’è bellamente infischiato, come Renzi. E ora nessuno ha il privilegio di sapere perché mai una decina di raccomandati può saltare il tetto dei 3 mandati, né perché Casini ha il posto blindato a Bologna (undicesima volta) in barba ai dirigenti locali, né perché il ferrarese Franceschini corre in Campania (e la sua signora a Roma), la friulana Serracchiani in Piemonte e il torinese Fassino solca (settima legislatura) i canali di Venezia in gondoleta. Le deroghe sono scelte del leader, ma vanno approvate dalla base.
Delle destre e del centro è inutile parlare perché sono tutti partiti personali. Solo i 5Stelle, con le Parlamentarie online, consentono a chi ritiene di avere qualcosa da dire e dare di candidarsi saltando il “cursus honorum” ormai ridotto a culi da leccare e borse (piene o vuote) da portare, che blocca l’ascensore politico del sistema. Eppure i media non solo sorvolano sulla scelta antidemocratica di 6-7 capipartito di nominarsi i propri camerieri in Parlamento dopo aver sabotato la riforma del Rosatellum. Ma fanno pure ironie sull’unica forza politica – il M5S – che affida agli iscritti la scrematura degli autocandidati, ferma restando la facoltà discrezionale del leader di bocciare quelli ritenuti incompatibili con motivazioni trasparenti; e di sottrarre alla riffa dei clic una minima quota di candidati di cui si assume la responsabilità (fiori all’occhiello come Scarpinato, De Raho, De Santoli). Alle legittime proteste degli esclusi, Letta ha pure avuto la spudoratezza di incolpare il predecessore Zingaretti che in quarta lettura votò il taglio dei parlamentari. Come se quella riforma sacrosanta non l’avesse approvata il 68,7% dei votanti al referendum. E come se gliel’avesse prescritto il medico di mandare a casa Piero Grasso, che fece condannare Cuffaro, e salvare Casini, che fece eleggere Cuffaro.