La prima sentenza di una lunga serie di cause per diffamazione intentate da Matteo Renzi contro il direttore di questo giornale, Marco Travaglio, si è risolta a favore di quest’ultimo. Renzi non ci era andato leggero reclamando come risarcimento per essere essere stato definito in tv un “mitomane”, la somma di 500 mila euro. Il giudice della Seconda sezione civile del Tribunale di Firenze lo scorso 17 agosto ha rigettato la richiesta dando così ragione alla difesa di Travaglio.
Lo scontro tra i due era avvenuto nel corso della trasmissione Otto e Mezzo del 20 febbraio 2020 quando Renzi già manovrava per provocare la caduta del governo Conte (da lui stesso fatto nascere pochi mesi prima). “Tu, oggi, definisci Renzi un mitomane?”, chiedeva Gruber con riferimento al medesimo titolo del Fatto quotidiano. E Travaglio: “Si, è una forma di mitomania molesta che, probabilmente, risale a fattori prepolitici che andrebbero studiati da specialisti clinici. Probabilmente vuole farci pagare colpe ataviche, non so se lo prendevano in giro da bambino, non so se vuole farci pagare il fatto che gli italiani non lo hanno capito e lo hanno bocciato più volte, che il mondo non comprende il suo genio. Sta di fatto che lo spettacolo penoso di ieri sera denota, secondo me, una svolta che non può essere nemmeno definita più uno show, è una cosa penosa. Secondo me per l’igiene della politica bisognerebbe cominciare a fare una specie di silenzio stampa, cioè una moratoria nel continuare a mettere il microfono davanti a una persona che chiaramente non è compos sui, non è in sé”.
Renzi si è ritenuto diffamato dall’utilizzo delle parole “mitomane”, dalla definizione del suo comportamento come “penoso” e dall’utilizzo di espressioni come “ mitomania molesta”, “non è compos sui”, “non è in sé”.
In genere la giurisprudenza opera quello che viene definito il “bilanciamento tra il diritto dell’attore a non esser leso nella sfera del decoro, dell’onore e dell’immagine pubblica ed il diritto del giornalista ad esprimere la propria opinione”. Al giornalista, in base all’articolo 21 della Costituzione, viene garantito il diritto di critica – al di là della sola esposizione dei fatti, ambito in cui molti esponenti politici vorrebbero circoscrivere l’attività giornalistica – e anche l’utilizzo di un linguaggio “pungente e incisivo” a condizione che sussistano tre elementi di base: “l’interesse del racconto”, la “correttezza formale e sostanziale” dell’esposizione dei fatti e la “corrispondenza tra la narrazione e i fatti realmente accaduti”. Questi tre canoni valgono anche per la critica che deve attenersi alla formulazione “di un motivato dissenso, senza risolversi in gratuita aggressione distruttiva dell’onore e della reputazione altrui”.
Secondo il giudice, le frasi espresse da Travaglio, pur graffianti, forti e incisive, sono rimaste all’interno di questi criteri. “Tra le espressioni più forti ed incisive – si legge nella sentenza – non si riscontrano ingiurie, contumelie od epiteti scurrili né affermazioni che aggrediscano in termini universalmente oltraggiosi il patrimonio morale dell’attore”. Si tratta di un attacco politico “non personale” e che quindi va “ricondotto nell’alveo della critica politica”.
Il giudice ammette che la valutazione sulle espressioni più forti è complessa, ma ritiene che “nell’economia dell’intero discorso la “mitomania” è la causa e, quindi, la spiegazione della condotta politica di Renzi: in chiave sarcastica, è presentata come l’unica spiegazione possibile delle condotte descritte”. Si tratta, insomma, di non soffermarsi sul semplice termine ma di inserirlo nel più generale contesto di critica politica. Certo, si legge, quando si fa riferimento a “fattori prepolitici”, “a colpe ataviche” o si fa riferimento a espressioni come “lo prendevano in giro da bambino” si tratta di “spunti che si collocano fuori dal perimetro della critica politica”. Ma, è qui sta il punto decisivo, “le espressioni in esame, pur connotandosi a tratti per un sarcasmo pungente, teso a dileggiare la figura del senatore Renzi, non risultano concretamente idonee a ledere la reputazione e l’onore di quest’ultimo”. Infatti “non hanno alcuna pretesa di veridicità”, Travaglio “non ha detto ciò con l’intento di convincere qualcuno circa il fondamento delle espressioni pronunciate, ma al solo fine di ironizzare sulle condotte e sulla figura di Renzi”. Il registro linguistico, “pur essendo a tratti graffiante e pur colorandosi di sarcasmo, è di fatto innocuo, non avendo – come si è detto – concreta idoneità lesiva rispetto all’onore ed alla reputazione dell’attore.
Renzi puntava con la sua azione giudiziaria a dare risalto al singolo termine e al suo potenziale diffamatorio, ma il Tribunale inserendo quei termini in un contesto complessivo e dando il giusto risalto al contenuto di critica politica ne ha escluso il “potenziale lesivo” respingendo la sua causa. Marco Travaglio è stato difeso dall’avvocato Caterina Malavenda.