Il prezzo del gas in questo agosto ha superato anche i record dei primi giorni dell’invasione russa dell’Ucraina. Le rassicurazioni del governo, l’ottimismo sulle forniture alternative e i decreti “aiuti” finora sono serviti a poco. Il motivo è semplice: se per risolvere un problema bisogna conoscerlo, l’esecutivo pare non aver compreso le basi del mercato dell’energia. Cerchiamo di fare chiarezza almeno su alcuni punti.
La speculazione? – Il ministro Cingolani ha detto che “è inaccettabile questo prezzo del gas frutto solo della speculazione di certi Hub, TTF (Amsterdam), a livello europeo”. Ora, che la speculazione esista è indubbio, che l’aumento dei prezzi del gas – e quindi anche dell’elettricità – sia dovuto “solo” o in gran parte alla speculazione no. Come funziona questo benedetto mercato? Il grosso è composto da contratti bilaterali fra fornitori e distributori: la maggior parte dei contratti sono annuali o pluriannuali, le differenze per eccesso di offerta o di domanda si regolano sul mercato spot (in Europa il TTF), come accade per altre commodities tipo il petrolio. Per molti anni, però, le società di distribuzione – legate a contratti pluriannuali a prezzo fisso – hanno comprato gas a prezzi più alti della media giornaliera al TTF e per questo, gradualmente, quasi tutte (inclusa Eni) hanno trasformato i propri contratti da prezzo fisso a variabile legato al mercato TTF. Ora non pare una buona idea. La cosa che dovrebbe preoccupare il governo, però, non è tanto il prezzo di oggi quanto i prezzi futuri: allo scoppio della guerra il prezzo spot (più influenzato dalla speculazione) è salito a 2,35 euro per metro cubo, ma quello per una fornitura gennaio -dicembre 2023 era di 0,75 centesimi; oggi i due prezzi coincidono. Tradotto: la speculazione c’entra poco. Eccetto forse per la Norvegia che si è inventata “manutenzioni straordinarie” riducendo i flussi di gas verso l’Europa.
Autonomia da Mosca – Nel 2022 i volumi di gas in arrivo dalla Russia si sono ridotti del 36%: senza ipotizzare riduzioni ulteriori (pure probabili), nell’anno termico 2022/2023 questo significa per l’Italia un taglio di circa 10 miliardi di metri cubi. Nel “piano gas” presentato dal governo questa riduzione viene coperta, grazie all’Eni di Claudio Descalzi, con 6 miliardi aggiuntivi dall’Algeria e 4-5 di Gnl (gas liquido) da rigassificare nel futuro impianto di Piombino, da avviare entro gennaio 2023. Questo nel mito, nella realtà se questo gas esistesse chi lo ha comprato (presumibilmente Eni) lo rivenderebbe sul mercato italiano, le utilities non ne sarebbero alla ricerca disperata e i prezzi 2023 scenderebbero di colpo. E ancora: se il gas proveniente da Algeria, Congo e Angola fosse davvero commercializzabile, il governo non avrebbe dato 4 miliardi a Snam per completare gli stoccaggi a prezzi stellari. Dunque solo una di queste tre ipotesi è vera: 1) le forniture non sono assicurate e commercializzabili; 2) Eni sta speculando sulla pelle degli italiani; 3) il gas che arriverà costa come quello che stiamo comprando oggi.
Gli stoccaggi – “L’Italia è quasi fuori pericolo, avremo le scorte per l’inverno” (Roberto Cingolani, 24 giugno). Gli stoccaggi rappresentano un settimo dei consumi totali di un anno termico tipico: ogni anno vengono stoccati circa 12 miliardi di metri cubi e ne vengono utilizzati 10 per sopperire ai picchi di domanda. Scambiare una modalità tecnica di operatività del sistema per una sicurezza di fornitura è mitologia allo stato puro. Gli stoccaggi, in anni normali, si concludevano a giugno coi serbatoi al 90%: quest’anno la mancanza di gas sul mercato ha prodotto l’impossibilità per gli operatori di mercato di stoccare i volumi in anticipo, è dovuto intervenire il governo prima garantendo loro un “extraprofitto” a spese del contribuente e poi direttamente con un prestito a Snam che sarà ripagato dagli utenti finali in tariffa. La difficoltà e l’alto costo degli stoccaggi è il sintomo di un malessere profondo del sistema, trasformarlo in un successo del governo è pericoloso e irresponsabile.
Razionamenti – “Al momento è escluso, ma bisogna tenere le dita incrociate” (Cingolani, 23 giugno). La soluzione scientifica delle dita incrociate convince poco, anche perché il razionamento è già in atto e nel modo peggiore: a questi prezzi di gas e elettricità molti settori industriali stanno riducendo i consumi e, alla lunga, saranno costretti a chiudere (vetro, carta, acciaio, alcune aziende chimiche o dell’alimentare). È un razionamento disordinato dettato dai prezzi: oltre a mettere in ginocchio le imprese, rischia di far saltare intere filiere per la mancanza di componenti essenziali. Uno scenario da incubo che il governo potrebbe evitare se, invece di fare propaganda, pensasse a un razionamento ordinato. L’Autorità per l’energia (Arera) ha provato timidamente a suggerirlo a fine luglio, parlando di “individuazione di misure per individuare meccanismi di riduzione della domanda in momenti di emergenza”. In sostanza, il governo dovrebbe imporre un razionamento generalizzato e individuare i settori strategici da tutelare per consentire al Paese di non fermarsi completamente o non procedere a singhiozzo: questo, però, avrebbe richiesto mesi di lavoro e di limature costanti per adeguare le misure ipotizzate alla realtà dei fatti, ascoltando categorie e filiere produttive. Arera propone anche “l’istituzione di un soggetto che svolga la funzione di approvvigionatore nazionale” per i clienti che hanno diritto al servizio di tutela e risultino scoperti: nessuna risposta.
Energia e rinnovabili – “Occorre disaccoppiare il prezzo dell’energia elettrica dal prezzo del gas” (Cingolani, 4 aprile). Il prezzo dell’energia elettrica si forma sull’offerta marginale: all’ingrosso il prezzo giornaliero sarà pari al costo di acquisto dell’energia più cara necessaria a soddisfare la domanda. In Europa il prezzo dell’energia si forma sostanzialmente sul prezzo del gas, quindi, semplificando, i produttori di energie rinnovabili oggi beneficiano della differenza fra il costo di produzione, compresi gli ammortamenti degli investimenti, e quello del prezzo delle centrali a gas. Storicamente però il prezzo medio del gas non ha mai superato i 40 centesimi a metro cubo, quindi per incentivare gli investimenti in rinnovabili, i governi le hanno incentivate. Oggi la situazione si è rovesciata e l’energia rinnovabile è di gran lunga più economica di quella a gas: il governo è intervenuto espropriando, di fatto, gli incassi superiori a 60 euro per megawatt ai produttori da rinnovabili e ora vorrebbe intervenire con un tetto anche per chi gli incentivi non li ha avuti. Una misura che agisce retroattivamente su accordi presi con investitori che hanno stilato business plan, rivenduto assets, coinvolto fondi pensione. Non solo: questo non è nemmeno servito a limitare il prezzo dell’energia, che ha fatto registrare massimi storici settimana dopo settimana. Bizzarro che mentre additava i produttori di rinnovabili come fruitori di ingiusti profitti, il governo prevedesse la costruzione, da parte di privati, di nuovi impianti per 8 GW nei prossimi 20 mesi contro una media storica di 1GW…
La guerra – “Sanzioni alla Russia, ma non sull’energia“ (Draghi, 18 febbraio); “L’interruzione del gas dalla Russia non crea problemi nel breve termine” (Draghi, 1 marzo). Ma veramente il governo pensava che dopo aver congelato i beni della Banca centrale russa, espropriato gli oligarchi e soprattutto mandato le armi all’Ucraina, le forniture di gas sarebbero continuate ad affluire regolarmente? Sembra di sì: “Non ci aspettiamo una riduzione delle forniture” (Draghi, 25 marzo). Peccato che le cose siano andate diversamente: Gazprom ha ridotto del 40% le esportazioni, i prezzi sono schizzati, paghiamo in rubli (“non lo faremo, sarebbe una violazione contrattuale”) e abbiamo il prezzo dell’energia al massimo storico. La reazione è stata, da ultimo, vietare alle utilities di modificare unilateralmente i contratti per tener conto dei nuovi prezzi (ovviamente se previsto dai contratti stessi), bloccando così il trasferimento di prezzo per alcune categorie di clienti e non per altre, ma soprattutto mettendo venditori e distributori di energia e gas in una pericolosa situazione di fragilità finanziaria (anche Arera ha segnalato il pericolo).
Conclusione – Ora la realtà dei fatti sta emergendo e lo sta facendo prima della fuga di Draghi da Palazzo Chigi, in questo agosto coi consumi ai minimi e i prezzi ai massimi. La bolletta di oggi arriverà a settembre, prima delle elezioni, e quella di settembre prima che il nuovo governo sia ancora formato: forse troppo presto per dare la colpa ai successori…