Bisogna stare attenti prima di scrivere sui social che Attila era un barbaro, Nerone un incendiario o Napoleone un ladro seriale di opere d’arte. Si rischia di dover risarcire gli eredi di cotanti personaggi storici. Non sono favorevoli i giudizi sul generale Luigi Cadorna, comandante del Regio Esercito italiano durante la Prima guerra mondiale, fino alla disfatta di Caporetto. Eppure non è un motivo sufficiente per denigrarne la figura, affibbiandogli epiteti come “assassino” o “criminale”. Lo ha stabilito una sentenza del Tribunale civile di Padova che ha condannato Michele Favero, segretario di Indipendenza Veneta e già candidato al consiglio regionale, a risarcire con 10 mila euro il colonnello di Cavalleria in pensione Carlo Cadorna, nipote del maresciallo. L’ufficiale è autore di un libro che ha proposto una rilettura della figura del generale, accusato da molti, oltre che di errori strategici, anche di insensibilità per la vita dei militari, e ha citato in giudizio Favero per aver affidato il proprio pensiero a numerosi post, pubblicati dal 2015 al 2021, in cui definiva Cadorna “un verme… che misurava le vite umane con le pallottole”, insomma, un comandante che avrebbe dovuto “essere giudicato come criminale di guerra”.
Qualche motivo Favero lo poteva trovare nella storia di famiglia, visto che il fratello del nonno era morto a 18 anni per la Patria, senza che i genitori ricevessero la pensione di guerra e senza il riconoscimento del proprio nome sulla lapide del paese. All’indipendentista non è bastato rivendicare la libertà di pensiero o di critica, e neppure produrre documenti a sostegno della tesi di una responsabilità di Cadorna per la morte di tanti soldati. Il nipote colonnello è partito lancia in resta con prove di senso contrario. “Anche volendo ammettere (…) che quanto sostenuto in merito alla gestione militare del Maresciallo (…) sia vero, va comunque rimarcato che non è stato rispettato il requisito della continenza”, ha motivato il giudice.