Enrico Letta non gli ha chiesto di ricandidarsi, in una campagna elettorale in cui i temi della legalità e del contrasto alla mafia sono quasi del tutto assenti. L’ex magistrato antimafia ed ex presidente del Senato, Pietro Grasso, è stato lasciato fuori dalle liste.
Questa campagna elettorale quale attenzione concede a legalità e impegno antimafia?
Nessuna. Al di là della candidatura di due importanti ex magistrati da parte del M5S, anche dal Movimento oltre che da tutti gli altri partiti per ora si sente solo un assordante silenzio. Il tema è da tempo fuori dall’agenda, anche mediatica. Anche allargando alla giustizia in generale, tutti stanno sottovalutando la mancanza di giudici, che rischia di paralizzare una macchina già in difficoltà. Sul tema le uniche proposte sono quelle della destra contro le toghe: si rilancia una legge già dichiarata incostituzionale come la legge Pecorella, che impedisce l’appello per chi è dichiarato innocente in primo grado, e si torna alla carica con la separazione delle carriere.
La mafia non è un problema da affrontare, per la politica.
Per ingenuità o interesse si sente dire che la mafia, visto che non spara quasi più, è stata vinta. Già in passato ho lanciato l’allarme che la mafia è invisibile, perché mette di nuovo al centro dei propri interessi i rapporti con la politica, con l’economia, con le istituzioni.
Ora arrivano anche i soldi del Pnrr.
E pensiamo a quanto alto possa essere l’interesse della criminalità sulle centinaia di miliardi di euro del Pnrr. Dobbiamo difendere queste risorse dalle mafie: ne va del futuro del nostro Paese.
Non c’è stata una sua ricandidatura. Perché?
Rispondo rifuggendo da qualsiasi intento polemico. Dopo lo strappo del novembre 2017 dal Pd di Matteo Renzi, in occasione dei cinque voti di fiducia sul Rosatellum, presi atto che il Pd era “irriconoscibile per merito, metodo, stile”. Mi ero poi riavvicinato al Pd di Letta partecipando e organizzando delle Agorà sulla giustizia. La mia disponibilità a proseguire quel lavoro era nota, ma evidentemente la contrazione dei parlamentari, i problemi tra le correnti e la strategia delle alleanze hanno reso complicata la mia candidatura.
Com’è stato far politica a sinistra con Leu?
Leu è nata dalla consapevolezza che, dopo l’appoggio al governo Monti e la segreteria di Renzi, si dovesse riparare ai tanti strappi fra la sinistra e interi settori della società. Purtroppo Leu non è riuscito a rappresentare fino in fondo un elemento di rottura e di alternativa. Ma credo che quelle ragioni siano ancora tutte attuali: è indispensabile un rinnovamento di idee, di cultura politica e di volti.
Che rapporti ci sono tra i gruppi di sinistra e il partito maggiore, il Pd?
Alleanze o fratture, composizioni o scontri non sono stati concepiti sulla base dei contenuti o sull’idea dell’Italia del futuro, ma su basi personali, vecchi o nuovi rancori, calcoli strumentali: un passaggio davvero triste.
Com’è stata la sua esperienza di presidente del Senato, seconda carica dello Stato?
Nel mio primo giorno da senatore ho presentato un disegno di legge su corruzione, autoriciclaggio, voto di scambio, falso in bilancio, per cercare di rimediare ai guasti delle precedenti legislature. Il secondo giorno sono stato eletto presidente del Senato, un ruolo istituzionale, sopra le parti, in linea con l’autonomia e l’indipendenza della mia precedente professione. Un’esperienza entusiasmante.
Non ha avuto un gran feeling con Matteo Renzi.
Ho vissuto momenti di tensione quando la mia imparzialità è stata vissuta come un’offesa da Renzi presidente del Consiglio, con i quali gli scontri erano continui. Fra le tante iniziative adottate mi piace ricordare la revoca dei vitalizi ai parlamentari condannati, la prima applicazione della legge Severino (con la decadenza da senatore di Berlusconi, ndr) e la riforma del regolamento del Senato.
Lei è stato anche presidente della Repubblica supplente, dopo le dimissioni di Napolitano.
È stato un grande onore ricoprire la carica di presidente della Repubblica, che, seppur da supplente, ho esercitato nella pienezza delle funzioni: firmando o rifiutando, sotto il profilo della non stretta aderenza ai principi costituzionali, decreti legge proposti dal governo Renzi. La telefonata più tesa con lui fu proprio in quel periodo, una rottura pressoché insanabile. Ricordo con gioia gli attestati di cittadinanza italiana firmati: immaginavo l’orgoglio per chi diventava cittadino italiano a tutti gli effetti, e insieme la rabbia per un percorso così lento e ingiusto per tanti ragazzi e ragazzi che ancora attendono una buona legge. Il momento più emozionante è stato il passaggio di consegne al presidente Mattarella al Quirinale. Nel mio breve discorso ho ricordato quel momento drammatico dell’Epifania del 1980, in cui c’eravamo conosciuti in occasione della morte del fratello Piersanti: lui giovane professore universitario, io un ancor più giovane magistrato incaricato delle prime indagini. Neanche la più fervida fantasia di uno sceneggiatore avrebbe mai potuto immaginare quell’incontro 35 anni dopo in uno scenario così solenne.
Ha mai rimpianto, da politico, gli anni in cui era magistrato?
Non ho né rimorsi né rimpianti, ma una differenza l’ho sentita: in politica tutto è lento, fumoso. Si passano giorni a trovare una mediazione e poi basta niente per farla saltare. Gli accordi sono sempre scritti sull’acqua.