“Andiamo a rifare il mondo/serviranno le parole brave/le parole forti/le parole verdi/servirà il silenzio delle foreste/il pensiero di tutte le teste/(…) Andiamo a rifare il mondo, rifacciamolo tutto daccapo/rifacciamo il creato”. Ci saranno anche loro, i Teachers For Future Italia – di cui questa poesia è inno – al prossimo Sciopero Globale per il Clima, il prossimo venerdì in oltre 52 città italiane e in 7.500 città di tutto il mondo. Sciopero che in Italia si svolgerà a due giorni dalle elezioni politiche e a una settimana esatta dalla strage climatica nelle Marche. “L’inizio di questo anno scolastico assume per noi un significato particolare, perché avviene a valle di una lunga estate caratterizzata da ondate di calore, siccità, eventi estremi”, scrivono gli Insegnanti per il Futuro, che proprio in vista dello sciopero hanno elaborato una serie di proposte operative “per sviluppare attività didattiche e iniziative concrete di lotta al cambiamento climatico a partire dai nostri plessi scolastici” (si possono trovare, divise per cicli scolastici, qui).
La richiesta di un Comitato scientifico sul clima che guidi la politica
Insegnanti in piazza, quest’anno insieme anche a medici, scienziati, agricoltori, ma anche genitori, i Parents for Future Italia. Persone preoccupate dal futuro dei propri figli, come Margherita Caruso – “ho tre figli e da quando ho approfondito la questione climatica ho capito solo una cosa: la lotta alla crisi climatica non è una priorità ma LA priorità” – e Barbara Zampa. Che spiega: “C’è rabbia, non solo perché i partiti che meno tengono in considerazione la crisi climatica sono i favoriti, ma anche perché quelli che hanno redatto un programma coerente hanno deciso di staccarsi o allearsi male, così che voti e programmi rischiano di non avere peso nell’esecuzione, che poi è l’unica cosa che conta”. Anche i Genitori Per il Futuro, in vista dello sciopero, hanno stilato il loro eco-manifesto, in cui un ruolo centrale riveste la richiesta della creazione di un Comitato scientifico per la crisi climatica che esprima pareri vincolanti, composto da esperti di clima e di altre discipline di scienza. Proposta che, tra l’altro, si affianca a quella di un organo istituzionale di consulenza scientifica su clima e ambiente avanzata da una serie di scienziati ed esperti – tra cui Antonello Pasini, Cinzia Perrino, Carlo Barbante, Leonardo Becchetti – propri ieri a Roma, presso la sede del CNEL, di fronte agli esponenti di tutti i partiti politici.
Non solo voto: la piazza come gesto di partecipazione democratica
A marciare per le strade delle città italiane che aderiscono allo sciopero ci saranno ovviamente anche loro, i Fridays For Future, che quest’anno hanno lanciato lo slogan #peoplenotprofit, “persone non profitto”, e che in queste settimane di campagna elettorale sono andati a porre le loro domande ai candidati dei partiti, specificando che il loro ruolo è totalmente apartitico ma profondamente politico. “Questo sciopero è molto importante perché ci permette di prendere parola prima del voto”, spiega una degli otto portavoce del movimento, Martina Comparelli. “Il fatto è che ultimamente la democrazia si è ridotta al gesto di votare, e il votare ridotto a una scelta tra offerte in vetrina. Ma la democrazia è qualcosa di più e noi con questo sciopero offriamo una occasione di partecipazione extra istituzionale. Chiunque ci sarà al governo noi in quella piazza ci saremo e chiederemo che la crisi climatica venga trattata come crisi e vengano messe al centro le persone”. Ma i Fridays for Future sono aperti a tutti? “Sì”, risponde Comparelli, “il movimento è aperto a tutti ma ha una leadership giovanile. Le vecchie generazioni hanno avuto i loro movimenti per cui hanno lottato”.
Il dito contro cui gli attivisti puntano è sempre l’inazione della politica, specie rispetto alla riduzione delle emissioni: “I partiti hanno proposte specifiche, ed è positivo, ma non ne parlano. Ci sono inoltre obiettivi di riduzione che sono vaghi e non strutturati, quando noi dovremmo ridurre del 92 per cento le emissioni entro il 2030 secondo alcuni studi”, spiega tra gli altri portavoce, Laura Vallaro. Che racconta anche come sta cambiando il movimento: “Se prima il focus era soprattutto su noi occidentali bianchi e il nostro futuro ora l’attenzione è su quei popoli, territori e comunità già pesantemente colpiti o distrutti dalla crisi climatica. Inoltre, altro fatto nuovo, molti gruppi locali stanno cercando di fare pressione sulle persone in carica a livello locale, sulle istituzioni anche economiche con nuovi strumenti. Oltre alle marce cerchiamo metodi per mettere pressione: come blocchi stradali temporanei, occupazioni scolastiche etc”.
I Fridays in Europa, tra lotta al caro gas distribuzione dell’acqua
Lo sciopero di venerdì è uno sciopero globale, il che significa che tutti i continenti scenderanno in piazza. Per i paesi europei, in particolare, quest’anno significa fare anche una battaglia contro il caro energia. Non a caso in Spagna i Fridays for Future si stanno affiancando ai movimenti contro la povertà energetica, mentre in Francia alcuni collettivi si sono focalizzati sul tema della siccità e dell’ingiusta distribuzione delle risorse idriche, andando a fermare gli impianti di irrigazione dei campi da golf. In Germania, invece, si sciopera anche per chiedere la prosecuzione del biglietto da 9 euro per i mezzi pubblici introdotto in forma sperimentale e che ha avuto un buon impatto sulla riduzione delle emissioni.
E proprio quella dei treni regionali e del trasporto pubblico locale gratuito, unita allo sconto del 75% dei biglietti Intercity e del 50% dell’Alta Velocità è una delle proposte chiave dell’agenda climatica che i Fridays For Future hanno stilato in vista delle elezioni. Insieme agli sconti sui treni, i Fridays propongono lo stop dei voli a breve percorrenza e dei voli privati, la conversione di tutto il settore energetico alle fonti rinnovabili, con il divieto di qualunque nuovo progetto legato alle fonti fossili e riducendo il loro utilizzo fino ad azzerarlo entro il 2035 (quindi no a rigassificatori, gasdotti etc). Gli attivisti chiedono anche la conversione dei sussidi ambientalmente dannosi (Sad), la riduzione dei consumi, la creazione di una comunità energetica rinnovabile solidale per ogni comune nei prossimi 6 anni, un tetto ai prezzi dell’energia.
L’agenda climatica si copre con tasse ai ricchissimi
Sul fronte sociale, si chiede la riduzione dell’orario di lavoro da 40 ore a 32, il job guarantee (impegno dello Stato a garantire accesso al lavoro sicuro e retribuito), salario minimo di 10 euro all’ora, l’efficientamento energetico di tutte le case popolari e delle scuole, la fornitura di energia gratuita a tutte le famiglie per coprire i bisogni primari.
Ma come finanziare tutte queste misure? L’agenda snocciola una serie di misure: tassazione del 100% sugli extra-profitti delle aziende, aliquota del 60% sui redditi oltre 300.000 euro, ultima aliquota Irpef al 100%, aumento delle aliquote per le rendite finanziarie e per i redditi da locazioni immobiliari, eliminazione della cedolare secca sugli affitti, tassa sui ricchi straordinaria: dello 0,5% tra 1 e 5 milioni di patrimonio, dell’ 1% tra 5 e 50 milioni, del 2% tra 50 e 1 miliardo, del 5% sopra il miliardo, infine una imposta sulle successioni e le donazioni, con una franchigia di esenzione fino a 500.000 euro.
Altre tasse sono previste: la web tax (aliquota del 30% per le società con ricavi annui superiori ai 400 milioni di euro), la Tobin Tax su tutte le transazioni finanziarie, la Paperoniale, ovvero tassa straordinaria del 3% su tutti i portafogli finanziari con valore superiore a 880.000 euro. Insomma, anche se altre misure prevedono la riduzione delle spese militari, la cancellazione delle grandi e piccole opere inutili e dannose, la conversione dei Sad, lo strumento principale per la rivoluzione ecologica, per i Fridays for future, resta soprattutto uno: tassare i più ricchi e i grandi patrimoni. In poche parole: giustizia sociale. Con una precisazione: “La richiesta fondamentale di questo sciopero sono le climate reparations: ma nel momento in cui noi chiediamo giustizia e fondi per i più colpiti non lo facciamo in un’ottica di pietà e filantropia. Non si chiede carità ma ripartizione, a livello nazionale come internazionale”, conclude Martina Comparelli.