Per chi votare? O, più radicalmente, andare a votare o no? Sono le domande che agitano e angosciano il popolo di sinistra, vasto e vivace, ma mai come oggi disperso e senza rappresentanza.
Arrivati alla resa dei conti, chi ha costruito un’egemonia culturale tutta spostata a destra – un Pd ridotto a guardia pretoriana di Draghi, e cioè dello stato delle cose – presenta se stesso come l’unico possibile rimedio. Lo fa puntando tutto sulla paura dei “fascisti”. Paura fondata: non tanto per il governo (lì abbiamo già visto quasi tutto il possibile: e forse questo ulteriore sprofondamento provocherà qualche reazione), quanto per il concreto rischio di uno stravolgimento della Costituzione senza l’appello del referendum popolare. A non esser fondata, al contrario, è la pretesa del Pd di essere argine credibile. Non lo è per ragioni strutturali profonde (il Pd ha una forte componente presidenzialista; ha più volte tentato di stravolgere la Carta che ora vorrebbe difendere; sembra prontissimo ad accordarsi con la destra attraverso il ponte naturale degli egolatri Renzi e Calenda…), ma anche per una banale evidenza: se davvero Letta avesse visto nella estrema destra una minaccia eversiva, non avrebbe rinunciato all’unica possibilità di batterla – l’alleanza con il Movimento 5 Stelle.
Guardo con interesse e simpatia a molte serissime persone e a molte giuste idee proposte dalla neonata Unione Popolare, appoggiata da Jean-Luc Mélenchon e Pablo Iglesias. Ma il rischio reale che corre la Carta, e l’urgenza di colpire più duramente possibile il fronte unico della guerra e dell’Agenda Draghi, mi induce a preferire questa volta il voto per il Movimento 5 Stelle. È una decisione sofferta, che nasce anche da una disincantata consapevolezza del divorzio tra la politica e le elezioni. Sappiamo da tempo che una sinistra vera, quella che in Italia oggi esiste nelle pratiche di lotta dal basso e di solidarietà, non costruisce una rappresentanza politica nell’imminenza di una scadenza elettorale: ci vuole un processo più lungo, largo e profondo.
Le elezioni politiche sono oggi un’altra cosa: un gioco disonesto e truccato, al quale è comprensibile che molti si sottraggano. Ma se si decide di giocare, è legittimo provare a farlo secondo la logica della situazione. E non c’è alcun dubbio che il voto ritenuto più pericoloso, e dunque più avversato, dal partito del pensiero unico italiano e atlantico sia quello per il Movimento. Per questo Letta ha rotto l’unica alleanza efficace: mentre la Meloni, con Draghi “lord protettore”, è già stata benedetta dalla Casa Bianca, il Giuseppe Conte che si oppone al riarmo, frena sulla guerra oggi con Russia e domani con la Cina, e dichiara di non prendere ordini da Washington, è ora il vero intoccabile.
Non mancano remore: non solo legate all’essenza stessa di un movimento che si è dichiarato fin dall’inizio né di destra né di sinistra, ma anche all’incoerenza verso i suoi stessi ideali fondativi (dal Tav alle trivelle…), fino all’imperdonabile ingresso nel governo Draghi. È poi difficile dimenticare i mostruosi decreti Sicurezza del governo Conte-Salvini. Bisogna, tuttavia, riconoscere che Conte li ha più volte definiti un errore – e d’altra parte il Pd (che, con Minniti, ha una parte cospicua nella loro genealogia) non ha mai mosso un dito per ritirarli, e anzi li applica volentieri con i suoi sindaci. Isaia Sales ha notato su queste pagine che “un uomo senza storia come Conte ha portato avanti un modello semi-laburista e ci sta riuscendo”. Anche se penso che la strada in questa direzione sia ancora molto lunga e tutt’altro che sicura, è vero che i nove punti presentati invano da Conte a Draghi appaiono in piena sintonia con la Cgil di Landini.
Sarò condizionato dalla mia visione cattolica, ma sono portato a dar peso alle ultimissime vicende e scelte del Movimento guidato da Conte, sperando che siano l’inizio di una sincera conversione: l’uscita dell’ala “poltronista” di Di Maio, la progressiva dialettica e quindi la rottura con il governo Draghi su temi cruciali come la guerra e la politica sociale, la critica all’atlantismo incondizionato. E dunque – pur consapevole del rischio – nel gioco sporco di queste elezioni mi pare sensato non tanto dare spazio al mio personale giudizio, pieno di riserve e dubbi, quanto prendere atto del giudizio del sistema. Non posso dimenticare il vero e proprio odio contro i poveri che l’establishment italiano ha esibito scagliandosi contro il reddito di cittadinanza (che, per quanto imperfetto e insufficiente, è la più importante “cosa” di sinistra fatta in Italia negli ultimi decenni). È quest’odio, ai miei occhi, il più esplicito e oggettivo riconoscimento della funzione anti-sistema del Movimento 5 Stelle: nonostante tutto. Ed è per questo che, nonostante tutto, il Movimento avrà il mio voto.