Ora che l’ambasciata russa l’ha tradotto in italiano – si trova facilmente online – raccomando di leggere il discorso tenuto da Vladimir Putin venerdì scorso al Cremlino, monumento simbolo della millenaria superpotenza russa che oggi vacilla. Trattasi di un vero e proprio manifesto ideologico del nazionalismo aggressivo in cui ritroviamo, aggiornati, tutti i classici argomenti del fascismo novecentesco: l’identità patriottica di un popolo eroico che si batte contro l’avidità delle élite americane e europee moralmente corrotte; le sacre tradizioni minacciate dai burattinai delle migrazioni; l’ideologia gender che mira a distruggere le famiglie; la Russia baluardo di civiltà contrapposto a un Occidente prossimo alla disgregazione; l’economia finanziaria destinata a soccombere di fronte ai detentori delle materie prime. Cos’è, questo, se non fascismo?
Il discorso di Putin chiarisce inequivocabilmente che per lui l’annessione dei distretti di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson è solo il primo passo verso la riconquista dell’intera Ucraina. Se vale infatti per queste regioni “la forte determinazione a tornare nella loro patria storica” e la volontà dei “nostri fratelli e sorelle in Ucraina, parte costitutiva della nostra nazione unita”, non si capisce perché tale richiamo a una storia millenaria non dovrebbe valere anche per Kiev e Odessa. Se ne deduce che i trattati sottoscritti nel 1994 da Mosca riguardo all’inviolabilità dell’Ucraina indipendente sono da considerarsi carta straccia. Non c’è da stupirsi se neanche Paesi considerati amici da Putin, come la Cina e la Serbia, hanno rifiutato di sottoscrivere questa plateale violazione del diritto internazionale.
Avvertono anch’essi che incombe sul mondo una premonizione di catastrofe. Ormai violato anche il tabù della deterrenza nucleare, basta poco perché la situazione sfugga di mano agli strateghi militari. Ora noi possiamo recriminare sugli errori compiuti dai vincitori della guerra fredda, che Putin traduce nella “tragedia del crollo dell’Unione Sovietica”. Possiamo ricordare che anch’essi si sono macchiati di crimini. La stessa ascesa al potere dei nazionalsocialisti in Germania venne denunciata da Keynes come effetto nefasto delle umiliazioni imposte ai tedeschi; ma ciò non toglie che il revanscismo aggressivo, allora come oggi, imponga contromisure. Prima che sia troppo tardi.
Da secoli l’Ucraina non ha confini stabili ed è afflitta da conflitti etnici sanguinosi. Difficilissimo è garantirvi al tempo stesso la salvaguardia dei diritti delle minoranze e l’integrità territoriale. Ma oggi è evidente che assecondare le mire espansionistiche di Putin con concessioni territoriali, per di più frutto di referendum-farsa e diktat unilaterali, significherebbe solo irrobustire un progetto imperiale che non solo calpesta la volontà di resistenza chiaramente espressa dal popolo ucraino, ma fomenta reazioni in tutta l’instabile Europa orientale: il virus del nazionalismo è maledettamente contagioso.
Non saremmo certo più al sicuro se l’Ucraina si fosse arresa. La sua strenua resistenza ha evidenziato che la superpotenza russa ha i piedi di argilla. Potrebbero avere ragione gli osservatori che segnalano il comportamento contraddittorio di Putin: di recente ha lanciato messaggi di disponibilità ad avviare negoziati e ha rilasciato i prigionieri della Brigata Azov; dopo di che i referendum per l’annessione gli sarebbero stati imposti dai leader separatisti del Donbass per timore di venir sacrificati in una eventuale trattativa. Lo zar rischia di vedersi trasformato in apprendista stregone, circondato da signori della guerra che evocano il ricorso alle armi nucleari, scenario apocalittico al quale di certo nemmeno lui può illudersi di sopravvivere.
Il più lungimirante – in questa folle escalation – si conferma papa Francesco. Di fronte al fatto compiuto imposto con mossa disperata da un leader senza scrupoli che ha sbagliato le mosse precedenti – visto che la sua guerra d’aggressione non ha raggiunto l’obiettivo prefissato – occorrono al tempo stesso fermezza e disponibilità al negoziato. Perché l’Ucraina non può lasciarsi sbranare pezzo a pezzo. Ma il suo destino storico rimane quello di essere una terra di mezzo, una vasta zona cuscinetto neutrale, integrata in Europa ma non certo piattaforma della Nato.
Chi crede nei valori della democrazia e della pacifica convivenza non può restare indifferente di fronte alla propagazione velenosa dell’ideologia etno-nazionalista di Putin, che nella “guerra patriottica” porta alle estreme conseguenze il culto dell’uomo forte e la xenofobia tipici di tutti i sovranismi con cui stiamo facendo i conti. Ma proprio per questo dobbiamo sapere che la soluzione non verrà da una guerra che rischia di perpetuarsi senza esito, ma da una richiesta immediata di negoziato.